Una vita per il gregge: musica, miti e artigianato

una vita per il gregge: musica artigianato
I pascoli di Campo Imperatore, alle pendici del Monte Prena
foto di Antonio Damiani

La figura del pastore

Bastone d’agrifoglio o d’olivo ricurvo, tunica di pelle di capra o pecora, borsa pastorale. Al massimo una pelle screziata di vitello di cerva per i giorni festivi. Umile dimora: un antro, un tugurio, al più una tenda. Cosi si presentava il pastore dell’antica Grecia. Un’immagine che ci arriva direttamente dai poemi di quell’epoca, che narravano la quotidianità dei mandriani. Una vita dedicata al gregge ma piena di varie attività che diedero vita a miti e leggende: dall’artigianato alla caccia, dalla poesia alla musica.

Analizziamo ancora il trattato di Adolfo Di Bérenger “Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia”, in particolare il IX capitolo. 

Già dall’antichità, le varie società pastorali dimostrarono buone pratiche e metodi del governo del bestiame. 

[…] le pecore, in generale, erano distinte in irsute (pecus hirsutum), e molli (p. molle). Irsute quelle che si lasciavano pascere nei boschi; molli l’altre pasturate nelle pianure, e specialmente intorno alle città, le quali si chiamavano anche pellitas, o tectas, ed altrimenti greche, o tarentine, perchè di razza proveniente dai monti della Grecia, dov’erano numerosissime, e perchè, oltre che lavarle tre volte all’anno, le si coprivano d’una pelle o tela, affinchè la lana si conservasse in esse morbida e netta. 

Il burro delle molli era considerato una vera prelibatezza. I Romani posponevano il loro latte all’olio ed allo strutto di maiale; i pastori sapevano che un formaggio grasso era assai ricercato, quindi fonte di elevato guadagno.

Pascoli vernali ed estivi

L’amministrazione dei pascoli era per lo più compito dello Stato o del Comune: vi erano pascoli comunali quanto pubblici, alcuni anche condivisi da più comuni. Il pastore pagava una tassa per ogni capo d’animale, che veniva registrato per non andare incontro a contravvenzioni. I pascoli erano divisi in estivi e invernali. 

Il pascolo vernale cominciava dalle calende di settembre, e durava fino alla fioritura del pero nei fondi asciutti. […] I pastori di armento grosso vernavano preferibilmente sulle erbose spiaggie del mare (buceta); quelli di pecore invece per l’interno delle campagne, i padroni delle quali si facevano pagare dai guardiani una determinata capitazione (pedaggio, o fida), e si riservavano la proprietà delle legne, ed il pegno sugli animali in caso di danno [1]

Nel mese di maggio i pastori spostavano le loro greggi verso i pascoli montani. La diversità ambientale offerta dalle varie regioni sia in Grecia che in Italia, favoriva gli spostamenti a seconda delle stagioni. 

Una volta sui monti, lo stile di vita del pastore cambiava radicalmente. Durante la loro permanenza in alta quota, incrementavano la loro produzione artigianale. Si dedicavano a creare oggetti di vita quotidiana, quali canestri, fiaschi e stuoie, che rivendevano o barattavano. Erano inoltre maestri nell’arte dell’intaglio del legno. Fabbricavano oggetti vari, fra cui Di Bérenger nel suo trattato, elenca le acridoteche, che sono, testualmente “piccole gabbie per grilli, che si vendevano ai cittadini, usati a tenerli sotto il letto, per goderne il trillo, dolce conciliatore del sonno”.

I Pastori e la musica

Le loro doti artigiane permettevano la realizzazione di svariati strumenti. Uno dei più comuni era la fistula, detto anche siringa o flauto di Pan, che poteva essere composto da tre canne, ma anche da sette, nove o più. Erano unite fra loro con “cera e spranghe metalliche”. Oltre a questo particolare strumento a fiato, venivano fabbricati strumenti a percussione come cembali e tamburi con la pelle degli animali, tibie e auli (strumenti a fiato, spesso ricavati dalle ossa degli animali) e cetre (strumenti a corda simili alla lira). 

Non è d’altronde a far meraviglia, che molti componimenti poetici dell’antichità sieno stati riputati opera di pastori, posta mente, che non solo la pastorizia era esercitata da uomini liberi, persuasi d’imitare in ciò gli stessi numi ed eroi, cui anzi attribuivano l’invenzione dei pastorali istrumenti di musica: ma più di tutto, che in fatto è la natura, che nell’aperto dei campi, sull’altezze dei monti, e nel grembo maestoso delle foreste, trae dal profondo del cuore e dalla bocca dell’uomo le voci quali che siensi della poesia e del canto; fatto di cui ognuno può essere testimonio a sè stesso.

È la natura stessa a esprimersi tramite i pastori. La vita che conducevano li portava verso un’armonia assoluta con l’ambiente, tanto da ispirarli nei loro canti e poemi. Il suono degli strumenti veniva utilizzato anche per allietare gli animali, che seguivano la melodia. A tal proposito, nel testo si fa anche riferimento al mito di Orfeo, che con la sua lira aveva il potere di rendere docili anche le bestie feroci. In particolare, nel mito, usa il suono celestiale del suo strumento per addormentare il cerbero durante la sua discesa agli inferi.

Tutto il movimento religioso dell’orfismo che si sviluppa nella regione greca della Tracia, attribuisce alla musica un ruolo fondamentale. Non a caso Pitagora fondò il suo ordine su questa dottrina, che si sviluppò sia in Grecia sia nel sud Italia. I loro studi, dimostrarono il sottile rapporto fra geometria, matematica e musica, riuscendo a definire quella che oggi conosciamo come scala pitagorica [2]

Questo dimostra come nelle culture antiche si abbia coscienza delle potenzialità della musica. Per questo i pastori ne facevano uso, anche per condurre il gregge. In Italia il mandriano era solito precedere il gregge suonando il corno per chiamarlo a raccolta, mentre in Grecia seguiva la mandria, facendosi precedere dalla guidajuola, un capo del bestiame che tutti gli altri seguivano. 


[1] Nei contratti di vendita del bestiame, venivano sempre aggiunte clausole di esenzioni di responsabilità da parte del venditore. Quando si presentavano ulteriori problematiche, si doveva portare la causa a Roma.
[2] si basa sulla progressione degli intervalli di quinta con trasposizione dei suoni acuti all’ottava di partenza. La scala musicale costruita secondo lo schema pitagorico è basata con rigore matematico sull’intervallo di quinta (rappresentato dal rapporto 3/2) e di ottava (rapporto 2/1). – Wikipedia

Bibliografia:

Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” – Adolfo Di Bérenger

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DI BÈRENGER: LA LIBERTÀ DEGLI ANTICHI PASTORI

De Bérenger: La libertà degli antichi pastori

Adolfo Di Bérenger, il padre dei forestali d’Italia

Il presente articolo, come del resto altri che seguiranno in futuro, sono stati pensati e redatti sulla base delle informazioni raccolte dal saggio “Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” di Adolfo Di Bérenger, primo Direttore dell’Istituto Forestale di Vallombrosa. Nacque a Edenau da padre francese e madre germanica, presso Monaco di Baviera il 28 febbraio 1815; svolse i primi studi nella città natia e poi si addottorò in filosofia a Vienna. Successivamente venne attratto dalle scienze naturali, in particolare da quelle forestali e, favorito dalla nobile famiglia, entrò nel 1834 nell’Accademia forestale austriaca di Mariabrünn dove conseguì il relativo diploma. Frattanto i suoi cari si trasferirono in Italia, precisamente a Brescia, dove li raggiunse nel 1836; qui, iniziò la sua attività di forestale come tecnico del Ducato di Parma e poi come funzionario dello Stato a Canegliano Veneto. Dopo la formazione del regno d’Italia ottenne il grado di ispettore generale delle foreste presso l’allora Ministero dell’agricoltura, con sede a Firenze e si adoperò nell’organizzazione della neonata Amministrazione forestale dello Stato italiano. I suoi sacrifici contribuirono in maniera decisiva alla promulgazione del Regio Decreto 4 aprile 1869, n. 4993 che approvò il regolamento per l’impianto dell’Istituto forestale di Vallombrosa di cui fu nominato direttore e docente di economia forestale e di selvicoltura.

Si distinse per ingegno naturale, cognizioni scientifiche e capacità anche nel servizio pratico; scrisse 35 lavori, fra cui alcuni di filosofia, di storia, di legislazione, di botanica ed ovviamente delle varie discipline forestali tra cui spicca il trattato di selvicoltura italiana[1], ove, al capitolo del governo e trattamento dei boschi analizza in maniera comparata i tre tipi di selvicoltura italiana, francese e tedesca. Per la sua attività scientifica, pratica e didattica, il Di Bérenger è considerato unanimemente il fondatore della scuola forestale italiana[2]. L’Archeologia forestale rappresenta un’inesauribile miniera di dati e di notizie sulla selvicoltura, sulla giurisprudenza e sulla legislazione forestale italiana e straniera, nonché delle attività connesse con il governo dei boschi, quali la caccia, l’industria del legno e la pastorizia[3].

In virtù della nostra rubrica sulla storia di Campo Imperatore, è il suo interesse per il mondo della pastorizia che abbiamo voluto menzionare. La comprensione di come questa attività abbia influenzato la storia del caratteristico altopiano abruzzese, necessita una conoscenza più dettagliata della figura del pastore e di come, questa, si sia evoluta nel corso dei secoli. A tal fine, nelle prossime settimane vi proporremo una visione generale, riferita al territorio dell’Italia Centro-Meridionale e della Grecia.

Nello specifico, analizzeremo il capitolo IX del trattato citato all’inizio del paragrafo, in cui il Di Bérenger ci racconta dell’arte pastorale e del suo rapporto coi boschi.

La libertà degli antichi pastori

In passato la relazione dei pastori con la natura era assai differente. Non sorprende affatto che venisse osannata da poemi e canti che molte volte erano gli stessi pastori a scrivere. Non si pensi infatti alla rozza immagine che erroneamente è stata loro affiancata nel corso dei secoli. 

Chiunque s’arresta a considerare anche per poco i ruvidi, incolti, e quasi barbari costumi degli odierni pastori di Grecia e di Italia – che ben dir si potrebbero il tipo dell’infimo grado di condizione sociale, cui possa discendere un uomo -, ben difficilmente sospetta, e giunge ad immaginare, che le due figlie più nobili dell’umano ingegno, la poesia e la musica , possano essere nate e cresciute tra greggie, mandre, e pastori; e più ancora, che i modi e costumi loro possano essere stati tolti a modello di felicità, d’innocenti amori, e d’invidiabile libertà, semplicità e contentezza”.

Poesie, canti e testi sacri di varie culture in tutto il mondo narrano i costumi di quell’antica società. Le parole di Di Bérenger lasciano trasparire l’essenza del pastore: una figura avvolta da un senso di libertà assoluta. Uno stile di vita che isolava l’uomo dalla società e dai suoi mali.

Chi si applichi invece a riflettere, di quanta amenità, pace, bellezza ed abbondanza di tutto, abbia la natura arricchito i campi, i colli, le foreste, i monti stessi e le valli; e veda manifesto nel tempo stesso, che appunto è nel mezzo di questo gran teatro dell’universo, che l’uomo può vivere più liberamente, abbandonarsi alle più vive e dolci emozioni, rimanere più illeso da pensieri di malizia, di corruzione, e di frode (fatto per cui la semplicità e purità dei costumi seguono la ragione inversa delle distanze dalle città e dai centri del civile consorzio), si persuade ben facilmente della verità dei dettati della storia, della filosofia, e delle stesse finzioni poetiche; e così è, che di fatto le dolcezze, l’innocenza e la pace di questo primitivo stato dell’umana vita, le troviamo presentate nel Cantico dei Cantici, e nel libro di Rut: primi monumenti della poesia pastorale; imitati in appresso nei drammi e poemi lirici e pastorali sanscritti degli Indiani, nei carmi bucolici dei Siciliani (Stesicoro, Teocrito, Bione, e Mosco), e Romani (Virgilio, Nemesiano, Calpurnio, ecc.), ed in Italia dagl’Arcadi, preceduti che furono dall’immortale Jacopo Sannazaro”. 

Una vita dedicata al gregge, un’esistenza a stretto contatto con la natura, viaggiando tra pianure, colli e monti. Un ambiente che favoriva anche la crescita artistica e culturale. Intorno al III secolo a.C. in Grecia e nell’Italia meridionale, abbiamo testimonianza di un particolare genere di poesia pastorale: la poesia bucolica, la cui origine viene fatta risalire al poeta greco Teocrito. Ma questa è un’altra storia che avremo il piacere di raccontarvi presto…

[1] DI BERENGER A., 1887. Selvicoltura: trattato scritto per uso degli agenti forestali, ingegneri e possidenti di boschi. Napoli, Marghieri.
[2]  VOLPINI C., 1966. Rivista di Storia dell’Agricoltura, a. VI, n.2, giugno 1966
[3]  VOLPINI C., 1966. Rivista di Storia dell’Agricoltura, a. VI, n.2, giugno 1966


BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA: 

https://www.cansiglio.it/storia/storia-forestale-cansiglio/387-adolfo-di-berenger-forestale-in-cansiglio-e-fondatore-della-selvicoltura-italiana.html

VOLPINI C., 1966. Rivista di Storia dell’Agricoltura, a. VI, n.2, giugno 1966.

GABRIELLI A., 2005. I Maestri, Su le orme della cultura forestale. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze.

DI BÈRENGER A., 1867. Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” (cap. IX, pp. 758-769), Treviso e Venezia.

GEOGRAFIE REALI E INTERIORI: IL DUALISMO DI NOCE MOSCARDI

Il Cantautore Noce Moscardi

Noce Moscardi è un artista aquilano che suona e canta le sue canzoni da quando è ragazzino. Nel 2020, ha deciso di far uscire il suo primo progetto sulla lunga distanza costituito da due album: “Arcobalena” e “Nox”, che usciranno l’11 giugno in formato digitale, cd, vinile e verranno presentati lo stesso giorno su Zoom.
I dischi sono stati anticipati da tre singoli per album che rappresentano un po’ tutta l’anima del disco.

Arcobalena ” è stato preannunciato dal singolo ‘Evandra’, una ballata tra il malinconico e il nostalgico, ambientata negli anni ’90, il periodo di fanciullezza del suo protagonista. Sono seguiti poi Musica Nuova e Metti.

Nox” è stato anticipato dai tre singoli Revolution Caffè, Monogamia vattene via e Aspirino, tre brani che hanno una sonorità più psichedelica e sembrano venir fuori dagli anni ‘70.

Per entrare nella musica di Noce e cogliere la vera essenza dell’immaginario che evocano i brani, c’è bisogno di un certo grado di predisposizione all’ascolto. Abbiamo fatto qualche domanda a Noce per conoscerlo meglio e per farci accompagnare alla scoperta delle sue nuove canzoni.

CIAO NOCE. PARLACI UN PO’ DI TE E DEL TUO PERCORSO. QUANDO HAI INIZIATO A SUONARE? HAI SEMPRE SUONATO DA SOLO?

Ciao Frequenze! Ho iniziato a scrivere canzoni nel 2005 più o meno, avevo 16 anni. Fin dagli inizi registravo su delle cassette che tenevo per me e pochi altri intimi; poi, con un registratore mp3 iniziai a caricare dei pezzi su MySpace, low-fi, firmandomi semplicemente come Francesco Moscardi. La prima volta che sono salito su un palco per suonare davanti ad un pubblico è stato in occasione del concerto di Cristian Di Prospero, nella Chiesa-Teatro Sant’Agostino di L’Aquila, prima del terremoto; Cristian mi aveva chiesto di suonare la chitarra ritmica per accompagnarlo. È stata però la condizione di crisi post-sisma a farmi scegliere di mettere la musica in primo piano nella mia vita e farmi trovare il coraggio di suonare davanti a della gente.

Infatti, il primo concerto con delle canzoni mie c’è stato nel 2009, era il primo maggio e, insieme a mio cugino Claudio Del Tosto, suonammo in apertura ad una cover band di Rino Gaetano in un pub a Silvi Marina. Dopo questi primi concerti con mio cugino ho suonato nella FM band, con la quale arrangiavamo e suonavamo le canzoni che scrivevo. Dopo un paio d’anni insieme, all’inizio del 2012, cambiarono alcuni musicisti e anche il nome della band cambiò in Noce Moscardi, da un’idea del batterista Remo Spezza. Da lì iniziarono a uscire le prime canzoni con questo nome e anche un Ep, registrato in una notte. Parallelamente a quest’esperienza ho preso parte anche ad altri progetti; ho suonato 4 anni con il gruppo folk Sognatori di Fabbriche (n.d.r Fabbricanti di Sogni), con i quali mi sono fatto le ossa suonando un po’ ovunque.

Negli anni successivi ho continuato a portare avanti il mio progetto chitarra e voce, prevalentemente da solo, sempre tenendo il nome Noce Moscardi. Dal 2012 al 2018 ho sempre registrato e fatto uscire singoli con una frequenza regolare. Un’esperienza d’impatto è stata “La Città della Canzone” di Cremona, alla quale ho partecipato durante la prima edizione e che ho conosciuto grazie a Gabriele Sfarra, un mio amico, musicologo, musicista e direttore d’orchestra, che all’epoca studiava all’Università di Cremona. Qui, avendo a che fare con dei musicologi, musicisti e poeti (per citarne alcuni: Stefano La Via, Frank Nemola, Lello Voce), sono stato messo di fronte a domande sul mio processo di scrittura, sulle quali non ho mai voluto riflettere.

QUESTA È LA TUA PRIMA USCITA DISCOGRAFICA, TI VA DI PARLARCI UN PO’ DEI DUE DISCHI CHE PUBBLICHERAI A BREVE, A PARTIRE DALLA SCELTA DEI TITOLI “ARCOBALENA” E “NOX”?

Sì, questa è la mia prima uscita ed ho iniziato a lavorare alla loro produzione nel 2018.

Ho sentito l’esigenza di far uscire il mio primo album (n.d.r Arcobalena), dal momento in cui facevo musica da parecchio tempo e avevo pubblicato diversi singoli, tutti con lo stesso produttore, Luigi Tarquini, con il quale avevamo sviluppato un suono che era nostro e che caratterizzava il mio progetto musicale. Sentivo l’esigenza di sancire anche la fine di un percorso musicale che mi aveva caratterizzato per anni.
Non appena raggiunta questa consapevolezza, ho ricevuto la proposta di registrare un album (n.d.r Nox) da un altro produttore, Lorenzo Castagna. Sapevo che lui aveva un’altra visione estetica degli arrangiamenti e della produzione, così mi è sembrato il momento giusto per intraprendere anche questa strada, più nuova per me.

Mi sono ritrovato quindi a lavorare contemporaneamente su due dischi, due progetti dal gusto diverso.
L’unico perno che li teneva uniti ero io e la mia scrittura. Mi sono in qualche modo diviso e sdoppiato, sia a livello emotivo che razionale, per portare avanti questo duplice lavoro. Questo mi ha portato a prendere decisioni diverse, a scegliere dei titoli, delle copertine, dei brani che si reggessero su questa opposizione, sullo sdoppiamento quindi sul dualismo. Ho iniziato a ragionare sugli opposti. Il tutto nutrito da sfaccettature, doppi sensi.

Arcobalena è un gioco di parole: contiene l’immaginario positivo, gioioso, sereno dell’arcobaleno che esce dopo il temporale e la profondità della balena, che va negli abissi.  Arcobalena, ad ogni modo, ha dentro di sé tanti significati.

Nox invece nasce da un nomignolo, che mi è stato dato da un mio amico, Marco, quindi è un nome che associo a Noce; ma allo stesso tempo è anche una parola latina da cui deriva il termine ‘notte’. Così come nei titoli, ci sono tante sfumature nei testi e nelle parole contenuti in questi due dischi.

Le copertine dei 2 album di Noce Moscardi: Arcobalena e Nox

DA BRANI COME “MUSICA NUOVA” E “REVOLUTION CAFFE’” EMERGE UN TEMA FORTE, CHE ACCOMUNA GLI ARTISTI DI OGNI TEMPO: IL CONTROVERSO RAPPORTO CON LA CITTA’ IN CUI SI NASCE.
QUAL È IL RAPPORTO CHE HAI CON LA TUA CITTA’ DI NASCITA E CON IL TERRITORIO IN CUI VIVI?

Ho vissuto sempre qui, a L’Aquila. Sono profondamente radicato in questa città, con tutti i limiti, le protezioni e i vantaggi che ne conseguono. Ho vissuto quindi sempre nello stesso posto, ma in un posto che è cambiato e di conseguenza ha cambiato anche noi. Inevitabilmente, nelle mie canzoni, racconto la realtà che conosco e le cose che guardo. Di conseguenza, spesso ci finisce dentro la mia città.

Ma per fortuna la musica serve anche a evadere e a viaggiare; infatti, mi ha aiutato molto ad andare oltre il provincialismo, a guardare oltre. Nelle due canzoni che hai nominato esiste il rapporto con la città, ma vengono riportate due visioni diverse. Musica Nuova ha una prospettiva aerea e più panoramica. Vengono osservate dall’alto le cose, le dinamiche cittadine, l’ambiente musicale locale, dando voce a dei personaggi reali che ne fanno parte.

Se Musica Nuova mette l’accento sulla collettività, la comunità e la musica costruita insieme, amicale, Revolution Caffè riporta una visione più privata e intima. È una canzone che parla di provincia, ma che si confronta con quelle che sono le metropoli interiori che ognuno di noi ha. Revolution, in poche parole, parla di due geografie: una geografia reale e una interiore. La canzone descrive la geografia reale, di un posto piccolo, a volte claustrofobico, che ti offre poco, ma allo stesso tempo fa emergere anche una geografia interiore che ti presenta altri scenari e ti fa essere più grande di quello che hai e di quello che offre il tuo territorio. La geografia interiore è quella che, con spocchia, ti fa urlare “non mi manca niente delle vostri metropoli”.

COSA PENSI DELLE OPPORTUNITA’ DATE AGLI ARTISTI EMERGENTI DI QUESTO TERRITORIO? PENSI CHE SIA CAMBIATO QUALCOSA DOPO IL TERREMOTO?

Dopo il terremoto magari c’erano pochi locali e pochi spazi, ma facevano suonare. Inizialmente suonavano per lo più cover band perché erano quelle che portavano più gente. Ma poi sono nati parecchi progetti solisti, band, crew, che scrivevano e proponevano roba propria, di diversi generi e devo dire che gli è stato dato spazio.

Le realtà associative e i centri sociali, insieme ai pub, hanno contribuito allo sviluppo di una scena musicale, di artisti locali. Da questa sono nati anche festival ed eventi musicali come, per citarne alcuni: RAQ Fest, LoMaggio Fest, Pinewood Festival.  Mi preme ricordare l’IndieSquare, una rassegna musicale organizzata dalla Comunità 24 Luglio ed altre realtà associative nel 2012 e poi ripetutasi nel 2013 in Piazza d’arti, che ha anticipato un po’ questa ondata di festival. Poi ovviamente c’è Frequenze. Uno degli eventi artistici più giovani e che fa una cosa che a L’Aquila non si era quasi mai fatta (tranne che all’Asilo occupato e a Casematte), andando oltre le mode, dando spazio all’arte, all’alternativo, con delle proposte originali. Il tutto organizzato in un posto bellissimo, sotto il Gran Sasso, nel pieno rispetto del luogo che li ospita.

Condivido la visione dell’arte e della musica fatta e fruita così! Frequenze è organizzato da gente abituata a stare in montagna, che non ha portato a Campo Imperatore un progetto per sfruttare il territorio e guadagnare, ma semplicemente per viverlo in tutta la sua bellezza.

LE TUE SCELTE, COMPRESA LA DECISIONE DI FARE USCIRE I TUOI PRIMI DUE DISCHI CONTEMPORANEAMENTE, SEMBRANO ANDARE CONTROCORRENTE RISPETTO ALLE REGOLE CHE SEGUE IL MERCATO MUSICALE. 
CI SPIEGHI LA SCELTA DI STARE UN PO’ FUORI DA QUESTI MECCANISMI?

Per un lungo periodo ho fatto la musica esclusivamente per passione, come un modo per sentirmi libero. Contemporaneamente però lavoravo, la musica non era una fonte di guadagno e la facevo esclusivamente per stare bene e per poter esprimere quello che significava per me stare nel mondo. Ad un certo punto, ho lasciato il lavoro e ho deciso che la musica era ciò che volevo fare seriamente nella vita. Volevo vivere di quello che mi piaceva, ma soprattutto di ciò che sapevo fare.

Non ho voluto però perdere la mia passione e la mia attitudine di essere libero. Le logiche del mercato mi stanno strette, mi ingabbiano. Per questo ho deciso di uscire in maniera del tutto indipendente e autonoma, senza etichetta. Volevo portare con me quella attitudine nobile, che mi ha continuato a far fare delle scelte che seguissero le mie inclinazioni, che sentissi mie. Soprattutto in questi due lavori, che sono i miei primi, volevo che fosse chiaro questo. Volevo fosse chiaro chi sono e quali sono le mie idee.

CHE RAPPORTO HAI CON I SOCIAL NETWORK? GESTISCI TU IL TUO PROFILO “NOCE MOSCARDI”?

Ho un rapporto totalmente inattivo e di distacco. Non ho uno smartphone; ho ancora un telefono di vecchia generazione, senza fotocamera e senza internet. Sui social gestisce quasi tutto mia sorella, con tutte le riserve e le limitazioni che io le do, infatti voglio che ci sia il meno possibile della mia vita, cercando di dare spazio e di far parlare solo la musica. Chiara (n.d.r sorella di Noce) ha tutte le potenzialità e le conoscenze per sfruttare questi strumenti al meglio, ma io preferisco tenermi fuori da queste dinamiche. Anche questo è un po’ anacronistico e controcorrente. So di essere lontano dalle regole attuali del mercato musicale, però non mi piace e non ritengo giusto che, per far circolare la musica, si debba mettere in piazza la propria vita privata. Per il momento non sento di voler scendere a questi compromessi. Per far sentire le mie canzoni, non voglio convincere nessuno.

QUANTO IL COVID HA CAMBIATO I TUOI PIANI, DALL’USCITA DEI DISCHI AL TOUR? COSA NE PENSI DEI VARI SURROGATI DEI CONCERTI LIVE COME I CONCERTI IN STREAMING?

I dischi sarebbero dovuti uscire ad aprile. Avrei voluto fare delle belle presentazioni in librerie e altri spazi pubblici, sarebbe seguito un tour chitarra e voce in diverse città, che stavamo finendo di pianificare e dove avrei avuto la possibilità di mettere in vendita i cd e i vinili. Avrei raggiunto le persone così, porta a porta, città per città, cercando di creare interesse. Abbiamo cambiato inevitabilmente le modalità e le tempistiche, i dischi infatti usciranno un po’ dopo rispetto a quelli che erano i piani iniziali e ci sarà una presentazione streaming su Zoom l’11 giugno nella quale, insieme ad alcuni ospiti, faremo una chiacchierata sui dischi.  

Per quanto riguarda la vendita delle copie fisiche, per gli aquilani abbiamo pensato di attivare una rete più capillare, cercando intanto di prendere accordi con librerie (Polarville L’Aquila) e negozi locali. Poi ovviamente si potranno acquistare anche ai concerti, quando potremo ricominciare. Per raggiungere le persone fuori L’Aquila abbiamo invece pensato, insieme all’impresa con la quale abbiamo stampato i vinili, di attivare una piattaforma di pre-order online. Sarà possibile comprare i dischi in digitale su Bandcamp.

FREQUENZE COME ASSOCIAZIONE SI PONE L’OBIETTIVO DI CERCARE UN’ARMONIA TRA NATURA E CULTURA. CREDIAMO INOLTRE CHE, I SUONI, POSSANO POSITIVAMENTE INFLUENZARE LA VITA E IL BENESSERE PSICO-FISICO DEGLI UOMINI. TI FACCIAMO QUINDI UNA DOMANDA PIU’ INTIMA. QUANTO PENSI CHE LA MUSICA AIUTI LE PERSONE E QUANTO TI HA AIUTATO NEL CORSO DELLA TUA VITA?

Condivido pienamente la vostra idea, il suono, influenza fortemente l’umore e il benessere di tutti gli esseri viventi, non solo degli uomini. Un certo tipo di frequenze aiuta la crescita rigogliosa. Infatti, sono abituato a suonare con la chitarra accordata con un’accordatura verdiana, detta anche aurea, che è di 432 Hz. Rispetto a quella convenzionale di oggi, che è di 440 Hz, la trovo più morbida e armoniosa, più naturale.

Al di là di questi aspetti di benessere un po’ più inconscio, c’è anche un aspetto più conscio e legato all’introspezione e alla conoscenza di sé. Le canzoni le scrivo, da sempre, perché mi portano a conoscermi meglio. Penso che questa sia una delle funzioni più belle della scrittura che, in senso assoluto, mi ha aiutato davvero tanto.

CAMPO IMPERATORE, LA RICCHEZZA DELLA SOCIETÀ PASTORALE

Campo Imperatore, la ricchezza dei pastori
E. Canziani, “Pastore che suona la zampogna”, da E. Canziani, Attraverso gli Appennini e le terre degli Abruzzi. Paesaggi e vita paesana, Synapsi Edizioni, Sulmona 2014.

Nell’immaginario comune pensiamo la montagna come un luogo selvaggio, aspro, lontano dai clamori delle vicende umane. Ciò non vale per l’altopiano di Campo Imperatore: le sue dune e le sue praterie solitarie sono i testimoni di una storia secolare di lotte di potere, di interessi e conflitti di origine cittadina, sono la proiezione in altitudine dell’organizzazione sociale dell’antico contado aquilano[1].

Due versanti, due storie diverse e complementari: il Gran Sasso d’Italia, il massiccio più alto dell’Appennino, separa nella sua maestosità i due paesaggi dell’Abruzzo attuale, quello marino e quello montano. Si divide nel versante settentrionale teramano, caratterizzato nel corso dei secoli da un’economia prevalentemente agricola, e nel versante meridionale aquilano, costituito da altopiani ricchissimi di erbe da maggio ad agosto; qui prospera “un’erba sottilissima, ma non cresce più d’un dito, ma è foltissima et ingrassa le pecore assai”, come scrisse nel Cinquecento l’ingegnere militare Francesco De Marchi. Storicamente, lo sfruttamento umano dei pascoli condusse a conflitti di ogni genere, ma anche ad alleanze durature tra entità politiche confinanti e a delicati equilibri sociali[2].

Universitas intus et Univeristas extra

Le montagne abruzzesi, compreso l’altopiano di Campo Imperatore, furono protette e curate dalle popolazioni pedemontane locali, le stesse che concorsero nel Duecento alla fondazione della città di Aquila. Come è noto, infatti, gli abitanti dei castelli vennero ad abitare in città, mantenendo al suo interno il nome del castello di origine e costituendosi in universitas intus, cioè come popolazione “dentro” le mura; gli esterni, come si evince dalla documentazione archivistica, vennero a formare l’universitas extra, “fuori” le mura. La rendita delle risorse montane interessò nei secoli sia gli abitanti intus che extra, che costituivano il contado (con un’estensione, come riporta De Marchi, dalle diciotto alle venti miglia a partire da Aquila).

La neonata città diventò ben presto il cuore commerciale di questo territorio, che dall’esterno forniva i prodotti alimentari. La materia prima dei pascoli ovini transumanti veniva destinata in parte alla sviluppata manifattura locale, in parte all’esportazione. Nel Trecento, in particolare, i documenti testimoniano dell’esistenza di una ricca classe mercantile, che prendendo il controllo del settore dell’allevamento, diede vita ad una vera e propria proto-industria armentizia. Tali facoltosi mercanti divennero ben presto il nerbo della classe dirigente aquilana, entrando in società con i commercianti di altre regioni della penisola. Non aveva allora torto Jeronimo Pico Fonticulano, quando nel 1582, in “Breve descrittione di sette città illustri d’Italia”, parlando di Aquila scrisse: “Son qui novantadue montagne de cittadini, detti “monti d’oro”, per l’abbondanza dell’herbe et acque sorgenti, ove si pascono quantità de bestiame; cavandose un guadagno inestimabile[3]”.

Il Consilium Massariorum

Una così ingente ricchezza non poteva che scatenare conflitti tra le varie università, oltre a dare luogo ad oleati meccanismi di assegnazione dei pascoli e delle greggi. In città era il Consilium Massariorum, formato dai massari di tutte le università intus ed extra, il portavoce delle istanze dell’intero contado. Nel Quattrocento i documenti ci descrivono le modalità di gestione di terreni prativi, di selve e montagne: allevatori e agricoltori disponevano di tali risorse mediante una delega assegnata ai massari, e ricavavano i frutti degli erbaggi e dei prodotti delle aree comuni coltivate a grano, orzo e foraggi, a cui si sommava la vendita di ghiande e pomi.

Gli erbaggi e i pascoli potevano, inoltre, essere venduti a privati cittadini, a condizione che ratificassero di rivendere i diritti acquistati non appena richiesto dagli uomini dell’università[4]. Qualora si fosse trattato di un terreno boschivo, che necessitava di un preventivo dissodamento e disboscamento, l’affitto era decennale e l’affittuario era esonerato dal pagamento per un biennio. Sul massiccio del Gran Sasso, l’elevata presenza del bestiame costringeva le università del contado aquilano a stringere accordi con la feudalità confinante, per sfruttare maggiore erbaggio[5].

La guerra dei Pascoli

Tuttavia, come si diceva poc’anzi, la ricchezza porta conflitto. Già dal 1332, abbiamo notizia di liti per la delimitazione dei confini fra i castelli di Roio, Lucoli, Tornimparte, Paganica, Assergi, Preturo, Forcella, Vigio, Pizzoli, Gignano e Bazzano: “per le montagne erbate”, cioè per i pascoli, “et per la carfagnina”, cioè per la lana, come riporta il cronista Buccio di Ranallo[6]. Gli armenti erano spesso causa di ostilità e i padroni degli animali che recavano danni alla vegetazione confinante erano chiamati a presentarsi nientemeno che davanti al capitano regio, il rappresentante del re in città. Anche le fonti d’acqua, indispensabili per abbeverare il bestiame, portavano allo scontro con le feudalità confinanti, come testimonia la storica contrapposizione tra Navelli e Capestrano[7].

Tuttavia, le montagne erano anche sedi di trattati ufficiali. È il caso delle lotte di confine che interessarono per due secoli Barisciano e Carapelle, il primo rappresentato dal capitano della città di Aquila, il secondo dal Conte di Celano. Nel 1357 fu celebrato a Campo Imperatore un negoziato di pace e furono delimitati i confini. Tuttavia, la tregua durò poco e continuarono gli spargimenti di sangue, in quello che Buccio di Ranallo definì “lo male de Carapelle e anche de Barisciano”. Solo nel 1509 la guerra di confine tra le due università si vide conclusa, con l’ennesima convenzione, dopo decine di omicidi da entrambe le parti[8].

Diego Renzi


I paragrafo

[1] Le informazioni e le ricostruzioni di cui tratteremo in questo articolo sono prevalentemente tratte da “La montagna contesa. L’Abruzzo in età angioina e aragonese”, in M.R. Berardi, I monti d’oro, identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell’Aquila medievale, Liguori Editore, Napoli 2005.
[2] Illustre è la pratica della Transumanza – a un tempo verticale e orizzontale – che collegava l’Abruzzo alle Puglie, le altitudini montane alle pianure del Tavoliere, che avremo modo di iniziare a conoscere nei prossimi articoli.
[3] Citato in M.R. Berardi, I monti d’oro, cit., p. 91.

II paragrafo

[4] “Si riporta come esempio la transazione conclusa dall’università di Chiarino con Stefano di Paolo di Marino di Pizzoli, il quale aveva acquistato ottantadue grani di territorio dell’università con la promessa di restituirlo dopo la sua morte allo stesso prezzo. Gli eredi di Stefano rivendono il territorio e restituiscono all’università i diritti che Stefano aveva sul territorio, sui pascoli e sulle erbe al prezzo di ducati centosettanta”. (M.R. Berardi, I monti d’oro, cit., p. 99).
[5] “Come testimonia la lettera inviata nella primavera del 1496 alla Camera Aquilana dal Duca d’Atri e Teramo e Marchese di Bitonto, Matteo Aquaviva d’Aragona, il quale rinnovava la sua disponibilità in lo pascere de loro bestiame quella comodità è stata possibile; nel versante teramano, nei suoi possedimenti, gli uomini dell’università di Assergi portavano e porteranno – per lo passato et per lo avvenire – a pascolare gli armenti nel periodo estivo”. (Ibidem, p. 105).

III paragrafo

[6] De Bartolomeis, Cronaca Aquilana, pp. 83-85, citato in ibidem, p. 97.
[7] “L’8 agosto 1498 la duchessa d’Amalfi, Giovanna, inviò una lettera alla magistratura aquilana comunicando di aver imprigionato alcuni uomini dell’università di Navelli, i quali, contro ogni ragione, portavano a pascolare gli animali nei suoi territori di Capestrano e soprattutto venivano ad beverare in lo fiume quale sta in mezzo el core de nostro stato”. (Ibidem, p. 109).
[8] R. Giannangeli, Terra di Barisciano, Japadre Editore L’Aquila 1974, pp. 44-45.

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Cenni sulla vegetazione di Campo Imperatore – Parte I

Alcune definizioni

La vegetazione è il complesso delle comunità vegetali che vivono in un determinato ambiente o in una determinata area geografica; a sua volta una comunità vegetale può definirsi come un insieme di piante che convivono nella medesima zona; la flora, invece, è un insieme di specie vegetali che crescono in uno specifico territorio. Noi ci concentreremo sulla vegetazione di Campo Imperatore, quindi sulle comunità vegetali che ospita l’altopiano, la loro composizione floristica ed in questa prima parte spiegheremo a grandi linee il perché abbiamo delle comunità piuttosto che altre, esplorando i fattori che controllano le diverse manifestazioni del regno delle piante.

Per l’intelligenza di quanto esporremo sarà necessario dare qualche altra definizione. Innanzitutto cosa sono l’areale e l’habitat? L’areale è l’area geografica di distribuzione di una specie, all’interno della quale può essere rinvenuta, mentre l’habitat è l’ambiente in cui una popolazione trova le condizioni favorevoli al suo sviluppo, in altre parole quando vengono soddisfatte le sue esigenze ecologiche: un certo tipo di clima, un suolo con una certa reazione e via dicendo. A titolo di esempio possiamo dire che, l’areale del faggio (Fagus sylvatica L.) comprende quasi l’intero continente europeo, ma ciò non significa che in tutta Europa riscontriamo questa pianta forestale, perché non è detto che vengano sempre soddisfatti i requisiti ecologici precipui all’affermazione del faggio.

I fattori ecologici

A questo punto possiamo introdurre una discriminazione dei fattori che regolano la vegetazione a scala di areale, da quelli che lo fanno a scala di habitat. Nel primo caso la vegetazione è condizionata, essenzialmente, dal macroclima, che è il principale fattore ecologico e da fattori storici, ossia quelle vicende storiche che hanno influenzato, più o meno recentemente, l’attuale distribuzione di quella specie o di quel tipo di vegetazione, p. es. le glaciazioni. Nel secondo caso abbiamo una categoria di fattori abiotici, specialmente il mesoclima (clima locale) ed il microclima, il suolo e disturbi fisici di varia natura; nell’altra categoria dei fattori biotici, si annoverano tutte le interazioni con gli altri organismi, che ovviamente hanno un certo peso nel favorire o meno la singola specie o la comunità vegetale.

Il macroclima di Campo Imperatore è un particolare tipo di clima temperato, detto «clima temperato appenninico» in cui si verifica il minimo annuo di precipitazioni in estate e manca un’aridità formale. La maggior parte del suolo derivante da rocce carbonatiche, invece, è classificabile secondo il World Reference Base for Soil Resources (WRB) come leptosols: suoli sottili o estremamente pietrosi e cambisols, che comprendono suoli moderatamente sviluppati; in funzione poi della quota altimetrica cambiano le condizioni climatiche ed è possibile individuare delle fasce fitoclimatiche altitudinali a cui corrispondono delle precise comunità vegetali[1]. L’altopiano è afferente alla fascia montana e di conseguenza la vegetazione attesa, dovrebbe essere composta, viste le caratteristiche della stazione, da cenosi forestali, nella fattispecie boschi di faggio.

Vegetazione potenziale e reale

Le faggete, infatti, sono le formazioni forestali che lungo l’Appennino raggiungono il limite della vegetazione arborea e ricoprono, di regola, le nostre montagne dai 900 ai 1800 m s. l. m, ma la fisionomia di Campo Imperatore è, come risaputo, ben diversa da quella impressa da una foresta; si mostra spoglio di alberi, soleggiato nei mesi estivi, a tratti arido e con inverni rigidi caratterizzati da copiose nevicate ed escursioni termiche elevate; le comunità vegetali principali sono delle praterie secondarie. Il motivo per il quale, troviamo tale vegetazione prevalentemente erbacea, deve la sua ragione alla presenza e all’azione antropica. L’uomo ha modificato radicalmente la componente vegetale attraverso la distruzione delle antiche selve, probabilmente formate da faggi, da cui si sono originate le praterie secondarie; di conseguenza è cambiato l’ambiente fisico, ovvero le caratteristiche fisico-chimiche del suolo, il bioclima, il regime idraulico ed in ultima analisi il paesaggio dell’altopiano, fino a renderlo così come lo conosciamo.

I moventi di questa trasformazione sono di ordine storico e socio-economico. La lotta tra la coltura silvana e quella del pascolo è stata, e in alcuni contesti continua ad essere, un fenomeno che ha interessato profondamente l’intero Appennino, determinando l’esistenza di una, o dell’altra forma di utilizzazione fondiaria.  

Anche la posizione economica rispetto al mercato gioca un ruolo fondamentale sulla distribuzione dei vari tipi di boschi, e correlativamente ai pascoli intercalati nelle zone di pertinenza della foresta. Adunque, può condurre a conclusioni sbagliate voler spiegare la presenza di una certa vegetazione esclusivamente in base al clima, al terreno e agli fattori ecologici e storici, senza considerare il ruolo dell’uomo, che è responsabile della creazione di numerosi paesaggi italici, fra cui, quello di Campo Imperatore.

Riccardo Di Cintio


[1] La vegetazione che si distribuisce secondo un gradiente altitudinale in relazione al solo macroclima è detta vegetazione zonale

Bibliografia

DI BERENGER A., 1867. Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia, Stabilimenti tipo-litografici di G. Longo, Treviso e Venezia
ACTA PLANTARUM.
DAZZI C., 2016. Fondamenti di pedologia. Le Penseur, Brienza (PZ).
FILIBECK G., 2019. Appunti delle lezioni di geobotanica del Dott. G. Filibeck.
GIACOMINI V. ET AA., 1958. La flora. Conosci l’Italia Volume II, Touring Club Italiano.
PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA .
PATRONE G., 1970. Economia forestale. Tipografia Coppini, Firenze (FI).

Lineamenti geomorfologici di Campo Imperatore

Il massiccio del Gran Sasso d’Italia è suddiviso in due catene montuose da una depressione tettonica [1]. La catena più meridionale è rappresentata da Monte San Franco, Monte Ienca, Pizzo Camarda, Cima delle Malecoste, Cima Giovanni Paolo II, Pizzo Cefalone, Monte Portella, Monte Scindarella; e l’altra più settentrionale, è caratterizzata da rilievi decisamente aspri e di maggiore sviluppo altimetrico: Monte Corvo, Pizzo d’Intermesoli, Corno Piccolo, Corno Grande, Monte Aquila, Monte Brancastello, Torri di Casanova, Monte Infornace, Monte Prena, Monte Camicia e Monte Tremoggia.

L’altopiano

Campo Imperatore è l’espressione più orientale di questa depressione, compreso fra le quote di 1450 m s. l. m. e 1850 m s. l. m, è un altopiano, ovvero un territorio pianeggiante posto al di sopra dei 300 m s. l. m. La sua estensione è pari a 18 km in termini di lunghezza e si espande, in termini di larghezza, fino a 7 km circa. Per quanto riguarda la litologia dei substrati, essenzialmente, si tratta di rocce carbonatiche quali calcari, calcari dolomitici e dolomie.

La tettonica distensiva [2], congiunta al glacialismo, ai fenomeni di carsismo, all’azione erosiva di tipo fluviale ed ovviamente al clima, sono stati i principali fattori fisici responsabili della configurazione paesaggistica dell’area.

Il prodotto degli agenti morfogenetici sopra elencati sono un complesso di doline, polje, conche, pianori, campi solcati, conoidi di deiezione, inghiottitoi che formano nel loro insieme l’altopiano, sbarrato da un lato dai suggestivi rilievi del massiccio del Gran Sasso, sui quali è possibile ammirare esempi di morfologie pseudocalanchive da Vado di Corno sino al Monte Brancastello, e poi i rupestri versanti del Monte Prena fino a quelli prevalentemente erbosi del Monte Camicia e del Monte Tremoggia.

Il fattore antropico

L’assetto territoriale è opera anche della millenaria interazione dell’uomo attraverso pratiche agro-silvo-pastorali, che hanno contribuito a modellare l’aspetto di Campo Imperatore. Il fattore antropico è stato uno dei protagonisti indiscussi dell’evoluzione del paesaggio, in generale, e della vegetazione in particolare, in tempi relativamente recenti e vi sarà dedicato un approfondimento speciale nella prossima uscita.

Riccardo Di Cintio


[1] La tettonica delle placche è la teoria che spiega l’evoluzione del guscio più esterno della Terra, la litosfera (ndr. crosta terrestre e parte del mantello), frammentato in una serie di elementi minori, le placche, che si muovono l’uno rispetto all’altro. (DOGLIONI C.).

[2] La tettonica distensiva è il fenomeno dovuto all’azione delle faglie dirette in cui l’ammasso roccioso posto, sopra il piano di taglio, si sposta più in basso rispetto a quello contiguo, determinando un allargamento della porzione di crosta terrestre circostante.

Bibliografia

ADAMOLI L., CALAMITA F., PIZZI A. Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50 000. Foglio 349 – Gran Sasso d’Italia. ISPRA – Servizio Geologico d’Italia.

BAGNAIA R., CATONICA C., BIANCO P.M., CERALLI D., 2017. Carta della Natura del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga – Note illustrative alla Carta degli Habitat alla scala 1:25.000. ISPRA, Serie Rapporti, 274/2017.

DE MARTONNE E., 1926-29. Traité de géographie phys., Parigi.

DOGLIONI C. Tettonica delle Placche. Dipartimento di Scienze della Terra, Università La Sapienza, Roma.

GIRAUDI C., 2003. I depositi alluvionali olocenici di Campo Imperatore (Massiccio del Gran Sasso – Abruzzo), ENEA.

PARCO DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA

PIANETA SCIENZA.

ROVERETO G. Forme della Terra. Trattato di geologia morfologica, I e II, Milano 1923.

SUPAN A., 1930. Grundzüge der phys. Erdkunde, I e II, Lipsia.

VIENORMALI.IT.




Pantani: il pirata che conquistò Campo Imperatore

Il pirata a Campo Imperatore
fonte: https://news-town.it/sport/18328-il-giro-d-italia-torna-in-abruzzo-arrivo-a-campo-imperatore-e-omaggio-a-rigopiano.html

Era il 22 maggio del 1999. Sono passati ventun’ anni, eppure quell’impresa resta ancora viva nei cuori di tutti gli appassionati di ciclismo. E come si fa a dimenticarla. E uno di quegli eventi che appena lo rinomina qualcuno, subito bisogna replicare “io c’ ero!”. Era in atto l’82^  edizione del Giro D’Italia, e proprio per quel 22 maggio, era in programma l’ottava tappa dal sapore tutto abruzzese. Dal mare alla montagna: da Pescara a Campo Imperatore. La corsa rosa iniziava ad entrare nel vivo, e non ci sarebbe neanche bisogno di riportare il nome e il cognome dell’ uomo più atteso di tutti. Lo chiamavano il pirata… e ovviamente non deluse le aspettative.

Il Pirata

Proviamo a sbottonare i primi nomi di pirati famosi che ci vengono in mente. Tutti sono legati alla nostra infanzia: Capitan uncino, Gol D. Rogers, Jack Sparrow. Ma quando nomini “Il pirata”, lasci perdere l’uncino, i coccodrilli, i tesori e i forzieri. Quando nomini il pirata pensi a Marco Pantani. 

Ovviamente un pirata non poteva che venire dal mare. Pantani, nato si a Cesena nel ’70, ma di Cesenatico, piena Riviera romagnola. Figlio di Ferdinando Pantani  e di mamma Tonina Belletti, che vendeva piadine nel lungomare. Da bambino Marco, iniziò a praticare diversi sport, come la caccia, la pesca e il calcio, nel quale era anche bravino. Poi però, l’amatissimo nonno Sotero gli regalò una bicicletta: da li fu un’altra storia.

Perché lo chiamavano il pirata? Ve lo ricordate il look di Pantani? Uno che va in giro con una bandana, l’orecchino e il pizzetto, come altro lo vuoi chiamare? E quando scattava in salita poi, sembrava proprio uno di quei corsari prossimi ad assalire la ciurma nemica. A lui il merito di aver riportato il ciclismo ai tempi di Coppi e Bartali, di aver riportato questo sport ad essere popolare come era un tempo. Il calcio dagli anni ‘60 in poi aveva prevalso sulle bici, eppure adesso, affianco ai Totti, ai Del Piero e ai Ronaldo, tra gli idoli degli italiani c’era anche Pantani.  Il ‘98 fu l’anno d’oro con Marco che riuscì proprio a replicare Coppi, vincendo nello stesso anno il Giro e il Tour, restando fino ad ora l’ultimo ciclista a compiere questa impresa. 

La tappa di Campo Imperatore 

Si parte alle 9 e 10 da Pescara, verso le vette del Gran Sasso. Inizia a piovere e di brutto e nelle fasi finali ci sarà anche nebbia. In montagna ci sono appena 3 gradi. Sono le 16:04 il gruppo di testa e a 2km e mezzo dall’ arrivo: Pantani scatta. Il pirata non si gira, non si volta: va dritto per la sua strada senza mai riporsi sul sellino.  Ivan Gotti, ci prova a tenere testa a Marco, ma quanto cavolo pista! Gotti prova a dare collaborazione, ma è simbolica. Sembra quasi dire: “Io non ti aiuto non perché voglio fare il furbo, ma perché proprio non ce la faccio a tenerti il passo”. Pantani scatta ancora, si gira rapidamente: Gotti non c’è più. Tanta la gente in massa accorsa nonostante l’insolito freddo di maggio. Il pubblico inizia ad omaggiare il pirata: non aspettavano altro che lui. 16:19 Pantani conquista la tappa e la maglia rosa. Alle sue spalle Jimenez a 23’’, Zuelle a 26’’ e Gotti che alla fine si piazza 4′ a 33’’. Taglia il traguardo con un lieve sorriso e alza rapidamente la mano destra. La tifoseria inizia a sventolare una bandiera nera con un teschio. 

Imprendibile, per quasi tutti…

Sarà l’inizio di un giro che Pantani che per le strade dominerà. Era davvero imprendibile per tutti, non per i poteri forti. A 2 tappe dal termine,  quel giro in maniera indegna venne strappato dalle sue mani. Dopo la vittoria a Madonna di Campiglio infatti, Pantani venne escluso dalla corsa rosa. Sul suo sangue venne riscontrata una concentrazione di globuli rossi superiore al consentito. In tempi recenti, si sta facendo chiarezza su quei giorni ed è sempre più probabile l’ipotesi di un intervento della camorra. Il sangue di Marco sarebbe stato deplasmato.  La sua carriera prenderà una ripida discesa da quel 5 giugno, ma il mito del Pirata resterà impresso nei cuori di tutti.

Fonti: Repubblica, biografie online.
Video: https://www.youtube.com/watch?v=F0kfzCa_6h8

Pierluigi Trombetta

Campo Imperatore: storia di un altopiano

Visuale su Corno Grande e Monte Prena dalla cima di Monte Bolza

Nell’ultima riunione di Frequenze, prima della fine del 2019, fra le cose da prevedere per la programmazione delle attività del 2020 nessuno avrebbe pensato di dover fare i conti con la situazione attuale. Da inizio marzo abbiamo deciso anche di interrompere le nostre attività sulla pagina. Una pausa forzata ma necessaria per riflettere e, soprattutto, per sviluppare nuovi contenuti che vogliamo proporvi nel corso dei prossimi mesi. Dopo aver lanciato la nostra campagna per l’ambiente #timetogrow, essendo al momento bloccati sul fronte eventi, abbiamo deciso di continuare a promuovere la cultura, l’arte, la natura e la tradizione attraverso articoli sulla rete! Per questo siamo pronti a proporvi più rubriche. La prima, che partirà dalla prossima settimana, si sviluppa sul fronte ambientale. Una rubrica tutta nuova interamente dedicata alla storia dell’altopiano di Campo Imperatore

Dopo un’analisi degli aspetti geomorfologici e vegetazionali, vedremo come l’intervento umano ha reso, nel corso dei secoli, questo territorio così particolare! Il fattore antropico, infatti, è stato uno dei protagonisti indiscussi nell’evoluzione del paesaggio.  Le pratiche agro-silvo-pastorali hanno contribuito (e non poco) a definire l’attuale fisionomia di Campo Imperatore, modificando soprattutto la vegetazione. 

L’influenza della pastorizia

In particolare, ci focalizzeremo sulla  pastorizia, che è stata la vocazione primaria degli abitanti delle zone limitrofe. Chi ci segue da molto tempo sa che è un tema che l’associazione ha a cuore da ben due anni, grazie alle passate edizioni dell’evento Sui Sentieri dei Pastori. Per chi non lo sapesse, si tratta di una giornata che vuole rievocare la tradizione dei pastori di Barisciano e dintorni. Da secoli, nel periodo di giugno, eseguono la transumanza verticale, conducendo le loro greggi fino ai pascoli estivi sui monti.

Le esigenze degli antichi pastori hanno contribuito, insieme ad altri fattori, alla creazione di strutture e rifugi che hanno segnato la storia dell’altopiano di Campo Imperatore. In ognuno di questi luoghi riecheggia la memoria di un passato che non deve essere dimenticato, un passato che abbiamo il dovere di raccontare. 

Sarà un viaggio intenso che vi invitiamo a seguire sulla nostra pagina Facebook e sul nostro sito internet! Insieme ripercorreremo le storie e le leggende che sono custodite fra le montagne più alte dell’appennino. 

Questo e molto altro saremo pronti a condividere con tutti voi, per trovare insieme la forza di ripartire in un 2020 che sarà particolare per tutti. Vogliamo tornare a offrirvi la cultura, l’arte e la tradizione, anche in prima persona, con i nostri eventi. Quando arriverà quel giorno, riusciremo ad apprezzare ancora di più quelle esperienze grazie a un nuovo modo di vedere il mondo. Avremo una nuova consapevolezza, nata proprio nel momento in cui ci siamo visti togliere la libertà di condividere quegli istanti!

Time To Grow, la cura possibile

Cosa hanno in comune un gatto e un bombo, due viventi in apparenza così lontani? Ce lo illustra Darwin. Il gatto è il predatore per eccellenza dei topi, che a loro volta vanno ghiotti delle larve del bombo, il quale è fondamentale per l’impollinazione di numerose specie vegetali: migliore è l’impollinazione, maggiore saranno i semi prodotti. Quindi: meno topi, più bombi, più semi. Dal numero e dalla qualità dei semi dipende la presenza più o meno grande di insetti, i quali sono a loro volta il cibo preferito di numerose popolazioni di uccelli… Si potrebbe continuare a lungo, in una rete sempre più intricata e sorprendente [1].

Ogni intervento dell’essere umano in un dato ecosistema produce una catena di effetti che tornano al mittente in modi imprevedibili. Ogni azione nell’ambiente non è il lancio di un sasso in fondo ad un lago, o la traiettoria di una freccia. L’ambiente è un sistema complesso di raffinate interazioni circolari, di cui noi, in quanto esseri umani, siamo parte. Darwin ci insegna che tentare di prevedere che cosa accadrebbe alterando anche solo una di queste interazioni, “sarebbe senza speranza come gettare una manciata di segatura o di piume in una giornata di vento e tentare di prevedere dove ogni singola particella cadrà[2]”. La pandemia in atto, come sempre più studi scientifici stanno dimostrando, è senz’altro una di queste “particelle”. Deforestazione massiva, inquinamento atmosferico, sfruttamento sconsiderato delle altre specie animali, sono gli inquietanti elementi di questo puzzle.

La virulenza non è di pertinenza esclusiva dei virus. La virulenza è la logica di comportamento dell’essere umano industrializzato ai danni di altre specie viventi e dell’ecosistema di cui fa parte. L’agente Smith in Matrix ce lo spiega in poche parole: “Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga”.

Estinzione di massa in tempi record

Oggi siamo nel bel mezzo di quella che gli studiosi chiamano “sesta estinzione di massa”, la più catastrofica nel corso dei tre miliardi di anni di vita sulla Terra. Tassi di estinzione di specie elevatissimi, entro un lasso di tempo irrisorio nella storia naturale, dell’ordine di decenni[3]. Se rapportiamo questa situazione alle parole di Darwin, c’è di che preoccuparsi. Non si tratta di allarmismo, ma di un dato di fatto. Ciò che sorprende è piuttosto l’indifferenza di governi e cittadini verso un evento di questa portata. Specie viventi preziose e irripetibili stanno scomparendo sotto i nostri occhi a ritmo industriale. E se pensiamo di essere immuni a questo grande stravolgimento, ci sbagliamo di grosso, per le premesse di cui sopra.

Ora, che non ci si fraintenda, concordiamo solo in parte con l’affermazione dell’agente Smith. Può esserci una cura alla nostra virulenza, una cura che non sia l’avvento delle macchine! Una prima risposta generale può essere desunta dalle parole dello stesso Smith: “Tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate”. In un contesto di equilibrio, il modello di una crescita economica lineare, ripetuto come un mantra dai governi di tutto il mondo, della produzione forsennata, non può essere più perseguibile. All’accumulo indefinito di merci consegue un accumulo indefinito di rifiuti. In campo alimentare, alla produzione mirata al massimo profitto con il minimo dei costi, segue la distruzione di interi ecosistemi e lo sfruttamento meccanizzato di miliardi di esseri viventi (umani compresi).

C’è bisogno di una nuova crescita, culturale innanzitutto, fondata su nuove premesse. In primis, Homo sapiens non è padrone delle complesse dinamiche che presiedono le comunità dei viventi, ne è parte inseparabile. Homo sapiens non può disporre liberamente del Pianeta, degli animali e della flora, senza pagarne gravemente le conseguenze. L’attuale pandemia, vero e proprio spartiacque del XXI secolo, sta rendendo evidente finanche ai più ostinati questo dato di fatto.

Time to grow!

#timeTogrow identifica nell’essere umano il problema e al contempo la cura. “Cura”, termine di derivazione latina, è inteso nei suoi due significati: da un lato, come il mezzo terapeutico che permette la guarigione da una malattia; dall’altro, è la premura, l’attenzione solerte, verso qualcuno o qualcosa. È così che la cura coincide con l’aver cura: degli altri viventi, così come degli ecosistemi di cui siamo parte. Solo in questa dimensione possiamo concepire le politiche economiche nell’immediato avvenire. Ma l’attenzione verso le scelte dei governi non può esimerci dal fare la nostra parte. Le dimensioni della cura sono inedite. Interrare un seme, ad esempio, oggi può essere un gesto rivoluzionario.

Le piante, scriveva un illustre botanico russo, sono l’anello di congiunzione tra il Sole e la Terra: convertono l’energia della nostra stella nella chimica della vita[4]. Già 450 milioni di anni fa le piante trasformarono un pianeta ostile in un’oasi per le specie viventi, assorbendo smisurate quantità di CO2 atmosferica e rilasciando ossigeno.

Costruire consapevolmente è rivoluzionario: con un’architettura semplice, essenziale, come un sovrappasso per gli animali, salviamo vite umane e garantiamo mobilità alle specie selvatiche. Altrettanto essenziale risulta un consumo consapevole. Prediligere prodotti di qualità, possibilmente locali, da filiere controllate, ridurre il consumo di carne e derivati [5], sono scelte che segnano il volto delle economie. Si tratta di esempi concreti che danno colori e forma ad un’altra idea di crescita. Frequenze vuole fare la sua parte.È tempo di reinventare nuovi equilibri, nuove logiche di convivenza. Ciascuno di noi, partendo da queste premesse, può dare il suo piccolo contributo. La svolta è adesso. La campagna #timeTogrow è la rete simbolica di quelle realtà, locali o internazionali, che lottano quotidianamente per questa svolta.

Diego Renzi


[1] S. Mancuso, La nazione delle piante, Gius. Laterza e Figli Spa, Bari-Roma 2019, pp. 36-37. Questo e altri passaggi di questo articolo devono molto al saggio di Stefano Mancuso, scienziato di fama internazionale, direttore del Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze.
[2] R.C. Stauffer, Charles Darwin’s Natural Selection; being the second part of his big species book written from 1856 to 1858, Cambridge University Press, Cambridge 1975, in S. Mancuso, La nazione delle piante, cit., p. 38.
[3] S. Mancuso, La nazione delle piante, cit., p. 78.
[4] Citato in S. Mancuso, La nazione delle piante, cit., p.85.
[5] “I costi nascosti della carne”, in slowfood.it. Link: https://www.slowfood.it/quanta-carne-mangiamo/lallevamento-industriale/i-costi-nascosti-della-carne/

VIDEO: #timetogrow

Un cambiamento… virale?

Ci siamo realmente fermati? O è solo un’illusione? Stiamo apprendendo qualcosa da questo momento storico? Abbiamo imparato ad avere coscienza del nostro tempo o senza accorgercene, abbiamo continuato a vivere freneticamente nonostante fossimo sul divano di casa? La verità è che neanche di fronte a una situazione del genere, dove tutto è bloccato, non sappiamo fermarci. Nemmeno in una situazione del genere riusciamo a percepire il momento. Non sappiamo gestirci, non siamo in grado di ascoltarci. Per questo ci sentiamo vuoti e non sappiamo cosa farne di tutto questo tempo. Per questo abbiamo paura del futuro. Per questo quando tutto potrà tornare alla normalità ripeteremo i nostri errori. 

Chi è il vero virus?

Guardiamoci intorno… chi è il vero virus? Chi ha permesso a questo mondo di ammalarsi? Chi sta sfruttando come un parassita tutte le risorse della Terra? Dolori e malattie non sono altro che segnali di allarme per ogni organismo. Che sia l’essere umano o il pianeta. Facile prendersela con un’entità invisibile, attribuendogli erroneamente una natura maligna.  Per un virus questo comportamento è inscindibile dalla propria natura, altrimenti non esisterebbe. Non ha una coscienza che lo faccia riflettere. Noi invece, nonostante la consapevolezza di remare verso una direzione senza futuro, insistiamo, sperando che il momento del collasso non ricada su noi stessi o sui nostri figli. Ma eccolo, quel momento è arrivato e non sarà l’ultimo se non investiremo tutte le nostre energie per cambiare il nostro modello di vita.

Adesso è facile parlare di unione, riempiendosi la bocca di belle parole sui social in nome di un’umanità che non ci appartiene. Ma guardiamoci bene dentro. Siamo davvero disposti a cambiare per far in modo che la follia umana impari qualcosa da questa situazione? Nella maggior parte dei casi no. Lo possiamo percepire già da adesso, in questo primo accenno di normalità, dopo quasi due mesi di isolamento: l’unico desiderio che ci assale è l’ansia di voler tornare a vivere come prima. 

Ma questo non è possibile

Un cambiamento… virale!

Il cambiamento deve avvenire adesso! Non possiamo girarci dall’altra parte, ma non possiamo nemmeno sentirci con la coscienza pulita solo manifestando e puntando il dito contro le multinazionali e i poteri forti. Dobbiamo avere coscienza che tutte le nstre comodità occidentali sono alcune delle cause della situazione attuale. Dobbiamo impegnarci affinché nel nostro piccolo, nelle nostre possibilità, piccoli ma quotidiani gesti servano d’esempio a tutti. Facciamo quello che sappiamo di poter fare! 
La forza per riprenderci è già dentro di noi. È il momento storico perfetto per imparare ad ascoltare sé stessi, per prendere coscienza della propria esistenza. Solo allora potremo iniziare a capire il mondo. Solo allora potremo lottare veramente per il cambiamento. 
Da ogni crisi nasce un’opportunità. Si può scegliere di imparare o continuare a ripetere i propri errori. Ma questo dipende solo da noi stessi. 

Facciamo in modo che la voglia di cambiare si diffonda! 

Facciamo in modo che anche il cambiamento sia virale!

È tempo di crescere, it’s #timetogrow

VIDEO: https://www.facebook.com/frequenze.gransasso/videos/847581492319425/