Una vita per il gregge: musica, miti e artigianato

una vita per il gregge: musica artigianato
I pascoli di Campo Imperatore, alle pendici del Monte Prena
foto di Antonio Damiani

La figura del pastore

Bastone d’agrifoglio o d’olivo ricurvo, tunica di pelle di capra o pecora, borsa pastorale. Al massimo una pelle screziata di vitello di cerva per i giorni festivi. Umile dimora: un antro, un tugurio, al più una tenda. Cosi si presentava il pastore dell’antica Grecia. Un’immagine che ci arriva direttamente dai poemi di quell’epoca, che narravano la quotidianità dei mandriani. Una vita dedicata al gregge ma piena di varie attività che diedero vita a miti e leggende: dall’artigianato alla caccia, dalla poesia alla musica.

Analizziamo ancora il trattato di Adolfo Di Bérenger “Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia”, in particolare il IX capitolo. 

Già dall’antichità, le varie società pastorali dimostrarono buone pratiche e metodi del governo del bestiame. 

[…] le pecore, in generale, erano distinte in irsute (pecus hirsutum), e molli (p. molle). Irsute quelle che si lasciavano pascere nei boschi; molli l’altre pasturate nelle pianure, e specialmente intorno alle città, le quali si chiamavano anche pellitas, o tectas, ed altrimenti greche, o tarentine, perchè di razza proveniente dai monti della Grecia, dov’erano numerosissime, e perchè, oltre che lavarle tre volte all’anno, le si coprivano d’una pelle o tela, affinchè la lana si conservasse in esse morbida e netta. 

Il burro delle molli era considerato una vera prelibatezza. I Romani posponevano il loro latte all’olio ed allo strutto di maiale; i pastori sapevano che un formaggio grasso era assai ricercato, quindi fonte di elevato guadagno.

Pascoli vernali ed estivi

L’amministrazione dei pascoli era per lo più compito dello Stato o del Comune: vi erano pascoli comunali quanto pubblici, alcuni anche condivisi da più comuni. Il pastore pagava una tassa per ogni capo d’animale, che veniva registrato per non andare incontro a contravvenzioni. I pascoli erano divisi in estivi e invernali. 

Il pascolo vernale cominciava dalle calende di settembre, e durava fino alla fioritura del pero nei fondi asciutti. […] I pastori di armento grosso vernavano preferibilmente sulle erbose spiaggie del mare (buceta); quelli di pecore invece per l’interno delle campagne, i padroni delle quali si facevano pagare dai guardiani una determinata capitazione (pedaggio, o fida), e si riservavano la proprietà delle legne, ed il pegno sugli animali in caso di danno [1]

Nel mese di maggio i pastori spostavano le loro greggi verso i pascoli montani. La diversità ambientale offerta dalle varie regioni sia in Grecia che in Italia, favoriva gli spostamenti a seconda delle stagioni. 

Una volta sui monti, lo stile di vita del pastore cambiava radicalmente. Durante la loro permanenza in alta quota, incrementavano la loro produzione artigianale. Si dedicavano a creare oggetti di vita quotidiana, quali canestri, fiaschi e stuoie, che rivendevano o barattavano. Erano inoltre maestri nell’arte dell’intaglio del legno. Fabbricavano oggetti vari, fra cui Di Bérenger nel suo trattato, elenca le acridoteche, che sono, testualmente “piccole gabbie per grilli, che si vendevano ai cittadini, usati a tenerli sotto il letto, per goderne il trillo, dolce conciliatore del sonno”.

I Pastori e la musica

Le loro doti artigiane permettevano la realizzazione di svariati strumenti. Uno dei più comuni era la fistula, detto anche siringa o flauto di Pan, che poteva essere composto da tre canne, ma anche da sette, nove o più. Erano unite fra loro con “cera e spranghe metalliche”. Oltre a questo particolare strumento a fiato, venivano fabbricati strumenti a percussione come cembali e tamburi con la pelle degli animali, tibie e auli (strumenti a fiato, spesso ricavati dalle ossa degli animali) e cetre (strumenti a corda simili alla lira). 

Non è d’altronde a far meraviglia, che molti componimenti poetici dell’antichità sieno stati riputati opera di pastori, posta mente, che non solo la pastorizia era esercitata da uomini liberi, persuasi d’imitare in ciò gli stessi numi ed eroi, cui anzi attribuivano l’invenzione dei pastorali istrumenti di musica: ma più di tutto, che in fatto è la natura, che nell’aperto dei campi, sull’altezze dei monti, e nel grembo maestoso delle foreste, trae dal profondo del cuore e dalla bocca dell’uomo le voci quali che siensi della poesia e del canto; fatto di cui ognuno può essere testimonio a sè stesso.

È la natura stessa a esprimersi tramite i pastori. La vita che conducevano li portava verso un’armonia assoluta con l’ambiente, tanto da ispirarli nei loro canti e poemi. Il suono degli strumenti veniva utilizzato anche per allietare gli animali, che seguivano la melodia. A tal proposito, nel testo si fa anche riferimento al mito di Orfeo, che con la sua lira aveva il potere di rendere docili anche le bestie feroci. In particolare, nel mito, usa il suono celestiale del suo strumento per addormentare il cerbero durante la sua discesa agli inferi.

Tutto il movimento religioso dell’orfismo che si sviluppa nella regione greca della Tracia, attribuisce alla musica un ruolo fondamentale. Non a caso Pitagora fondò il suo ordine su questa dottrina, che si sviluppò sia in Grecia sia nel sud Italia. I loro studi, dimostrarono il sottile rapporto fra geometria, matematica e musica, riuscendo a definire quella che oggi conosciamo come scala pitagorica [2]

Questo dimostra come nelle culture antiche si abbia coscienza delle potenzialità della musica. Per questo i pastori ne facevano uso, anche per condurre il gregge. In Italia il mandriano era solito precedere il gregge suonando il corno per chiamarlo a raccolta, mentre in Grecia seguiva la mandria, facendosi precedere dalla guidajuola, un capo del bestiame che tutti gli altri seguivano. 


[1] Nei contratti di vendita del bestiame, venivano sempre aggiunte clausole di esenzioni di responsabilità da parte del venditore. Quando si presentavano ulteriori problematiche, si doveva portare la causa a Roma.
[2] si basa sulla progressione degli intervalli di quinta con trasposizione dei suoni acuti all’ottava di partenza. La scala musicale costruita secondo lo schema pitagorico è basata con rigore matematico sull’intervallo di quinta (rappresentato dal rapporto 3/2) e di ottava (rapporto 2/1). – Wikipedia

Bibliografia:

Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” – Adolfo Di Bérenger

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