La crisi della pastorizia, dall’Impero romano ad oggi

Pastorizia
Statuetta del Buon Pastore, Musei Vaticani.

Pascolo e bosco: antichi sinonimi

La concezione del termine pascolo ai tempi degli antichi greci e romani era ben differente dall’attuale. Era infatti sinonimo di bosco (dal greco equisono βόσκω). Con “pascolo” si intendeva un ceduo[1], un tipo di bosco che non era né selva[2] (silva) e nemmeno foresta[3]. Anche le parole greche nemos, ed alsos, così come le latine nemus e saltus si riferiscono sia al bosco che al pascolo. Ancora oggi, sebbene poco usata come accezione, per “salto”, dalla derivazione latina, si intende un monte selvoso. I custodi dei boschi e dei pascoli venivano chiamati saltuarii in Italia e alcosomi in Grecia. 

L’uso di queste parole ci fa intendere un rapporto inseparabile tra bosco e pascolo, che era tale soprattutto in termini economici. Fu solo la trasformazione del territorio a scinderne per sempre il significato. Con il passare del tempo, l’esercizio del pascolo provocò un impoverimento dei boschi che lasciarono spazio a un manto erboso sempre più rigoglioso. 

L’Abruzzo e in particolar modo Campo Imperatore, giocò un ruolo fondamentale in questo via vai di pastori, generando la propria ricchezza proprio dai pascoli montani. Già dai tempi dei romani, l’aspetto dell’altopiano cominciò a modificarsi, fino ad arrivare alla formazione delle caratteristiche praterie secondarie che si possono ammirare oggi.

L’abuso dei pascoli

I proprietari terrieri vedevano nella pastorizia una maggiore fonte di reddito rispetto alla vendita di legname, che importava, maggiori costi di gestione e, soprattutto in terreni scadenti, ricavi più bassi. Se prima dell’espansione dell’impero romano trovavamo un delicato equilibrio fra l’agricoltura, la pastorizia e la selvicoltura, la sete di conquista decretò un inevitabile aumento della coltura pascoliva; e a pagarne il prezzo più alto fu il bosco. La trasformzione della figura dell’agricoltore e del pastore seguì di pari passo la deforestazione di molti paesaggi italici. Se anticamente i due mestieri erano prerogativa di liberi uomini, la professione veniva svolta sempre di più da schiavi, servi e prigionieri di guerra

Inutile fu la legge che indisse Giulio Cesare per far in modo che almeno un terzo dei pastori dovessero essere uomini liberi: i patrizi romani disponevano di migliaia di schiavi che, come scrisse Seneca, erano più numerosi dei barbari, che già minacciavano le frontiere della penisola italica.  C’erano così tante mandrie di bestiame che quasi non bastavano le terre per poterle pascolare. 

L’abuso del pascolo fu quindi la causa del deturpamento delle bellezze naturali del Meridione, soprattutto in Lazio e in Sicilia. I disordinati disboscamenti devastarono i monti d’Italia: l’isterilimento della terra ed il dissesto idrogeologico che seguirono, portarono a un’emigrazione di massa verso le città. Fu la prima crisi che subì la nobile arte della pastorizia, che aveva permesso, insieme all’agricoltura ed alla selvicoltura, lo sviluppo di fiorenti civiltà. 

La crisi della società pastorale

In conclusione, possiamo dire che nel corso dei secoli la figura del pastore è cambiata moltissimo. Abbiamo visto come il mutamento nell’uso del suolo durante l’Impero romano causò dei danni che sono ancora evidenti nel paesaggio del Bel Paese. All’equilibrio che si era stabilito fra l’arte pastorale, l’agricoltura e la selvicoltura si stostituì il disordine colturale, l’instabilità economica, sociale ed il dissesto idrogeologico. L’ingordigia e l’avidità di alcuni proprietari terrieri fu la causa della scomparsa di una realtà culturale e colturale che mai tornò al suo antico splendore. Una realtà che oltre alla produzione di beni materiali, dall’alimentazione, all’artigianato, era anche la culla di arte e conoscenza.

Certo, l’aumento della produzione causò un drastico cambio nelle abitudini dei pastori, ma questo non frenò la diffusione culturale in questo ambiente. Per questo abbiamo testimonianze anche abbastanza recenti di artisti e poeti legati al mondo della pastorizia. Non dimentichiamo che in fondo ancora oggi, chi affronta questo duro mestiere con passione può apprezzare quel senso di libertà che lo lega con i propri antenati. Di sicuro il rapporto con il resto della società è sempre più influente ma quando ti ritrovi con il gregge, tutto cambia, tutto viene lasciato da parte.

Quella dell’impero romano fu solo la prima crisi che ha dovuto affrontare la pastorizia. Con il tempo, l’affluenza verso le città, il progresso industriale, fino ad arrivare al frenetico stile di vita odierno, hanno causato diverse crisi, molto più devastanti. Lo possiamo constatare anche dal fatto che oggigiorno fare il pastore non è un’attività redditizia come lo era fino al secolo scorso.

La pastorizia oggi

La svalutazione della lana e del latte, la mala gestione dei pascoli, la corruzione e il mercato globalizzato sono solo alcuni fattori che stanno distruggendo le piccole realtà pastorali. Nel settore alimentare, abbiamo sacrificato la qualità per la quantità. Se già Roma, nel V secolo d.C. aveva già il continuo bisogno di intervenire sull’ambiente per soddisfare la propria domanda di produzione alimentare, con la politica capitalista attuale la situazione è ancora peggiore. La produzione non è relazionata al consumo: l’allevamento e l’agricoltura intensiva generano più risorse di quelle che realmente si necessitano. Inevitabilmente, si interviene senza criterio sull’ambiente.

La selvicoltura oggi

In Italia, la Scienza e l’Arte forestale un tempo venivano insegnate ai funzionari della Forestale nell’Istituo forestale di Firenze, poi Istituto Superiore, ed oggi nelle Università di scienze forestali ai professionisti del settore[4]. L’arte di coltivare i boschi (selvicoltura), a nostro avviso, non è percepita da buona parte della collettività nel modo corretto e di conseguenza non riceve la considerazione che merita. Manca fra le genti d’Italia quella che Luzzatti definiva coscienza forestale, e manca da parte delle istituzioni pubbliche una propaganda concreta, di ordine tecnico-economico, volta a dimostrare, con esempi reali, come si gestiscono, ovvero come si coltivano i boschi, nei riguardi tecnici, ma anche sotto l’aspetto economico, nel pieno rispetto di inderogabili leggi di ordine fisico e bioecologico alle quali è soggetto ogni ecosistema forestale;[5] e che ogni tecnico forestale, degno di questo nome, deve conoscere per poter garantire la perpetuazione della fitocenosi. Bisogna instaurare un dialogo costruttivo con i cittadini e con le molteplici associazioni ambientaliste che si muovono, con spirito sincero e spesso in buona fede, per la salvaguardia dell’ambiente, e che troppo spesso confondono l’assestamento forestale e l’attività selvicolturale con “disboscamento” e “distruzione”. Di concerto è necessario un controllo efficace svolto da un organo di polizia con dipendenti qualificati ed adeguatamente preparati nella poliedrica Scienza forestale, per prevenire, più che reprimere, illeciti e cattiva gestione del territorio forestale e montano.

Il rapporto con l’ambiente sembra interessare sempre meno a una società che ha distrutto i propri valori. Ha dimenticato che la sua esistenza ha origine da fiorenti civiltà che attribuivano alla natura, alle arti, alla musica, all’agricoltura, alla selvicoltura ed al pascolo, un valore sacro. 

Paradossalmente, in un mondo dove la cultura e la tradizione vengono messe da parte, l’unica testimonianza di quel senso di libertà che aleggiava intorno alla figura del pastore la ritroviamo degli antichi poemi che essi stessi ci hanno lasciato. Un mondo, il loro, che racchiude una dignità storica indescrivibile, macchiata prima dal sangue sulle catene degli schiavi romani, poi dalla svalutazione odierna di uno dei mestieri più antichi al mondo. 


[1] Sfruttando la propagazione vegetativa di alcune specie legnose, si effettuano dei tagli periodici, con conseguente emissione di getti, detti polloni, dalle porzioni della pianta madre rimaste sul terreno; questi polloni formano il bosco, detto ceduo (dal latino caedo = taglio). Il ceduo si origina per riproduzione agamica e non gamica (sessuale). Il ceduo è una delle due fondamentali forme di governo dei boschi. (In parte citato da PAVARI A., 1943. Governo e trattamento dei boschi, Tipografia Ramo Editoriale degli Agricoltori S. A., Roma.)
[2] Termine generico che in antichità veniva utilizzato per indicare un bosco, senza fornire informazioni riguardo la forma di governo ed il trattamento selvicolturale.
[3] Oggi, la parola foresta ha il significato che un tempo rivestiva il vocabolo “selva”, invece, all’epoca, foresta identificava un bosco governato a fustaia, ovvero quel particolare regime selvicolturale in cui si lasciano crescere gli alberi secondo le legge “naturali” dello sviluppo, sino ad un’età, detta di maturità, in modo che essi assumono le dimensioni ed i caratteri di piante di alto fusto. Di regola le fustaie si originano e si riproducono per seme. (In parte citato da PAVARI A., 1943. Governo e trattamento dei boschi, Tipografia Ramo Editoriale degli Agricoltori S. A., Roma.)
[4] Per professionisti forestali intendiamo i laureati in Scienze forestali che esercitano una professione regolamentata con il titolo di “Dottore forestale” ed appartengono all’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali (L. 3/1976 e ss. mm. e ii.). Fra le mansioni svolte da suddetti professionisti, ci sono: l’assestamento forestale (pianificazione e gestione delle foreste), la progettazione di interventi selvicolturali (utilizzazioni forestali), di rimboschimenti, di sistemazioni idraulico-forestali, di bioingegneria forestale (Ingegneria Naturalistica), ecc.
Fino al 1981 l’assestamento forestale, la progettazione forestale (interventi selvicolturali, rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestal, e in generale opere di difesa contro il dissesto idrogeologico), il vivaismo forestale e via dicendo erano compiti prevalenti o esclusivi, prima del Corpo Reale delle Foreste, poi della Milizia Nazionale Forestale; e dal 1948, anno delllo scioglimento della Milizia, del Corpo Forestale dello Stato, che ha mantenuto il suo ordinamento di “corpo tenico con funzioni di polizia” fino alle modifiche al Codice di Procedura Penale e alla promulgazione della L. 121/1981. Questo strumento legislativo inserì il Corpo fra le cinque “Forze di Polizia dello Stato”, riducendo gli storici compiti di gestione e di difesa del territorio del CFS, in favore di mansioni di vigilanza e repressione delle violazioni a danno dell’ambiente. La trasformazione di questo corpo con funzioni prevalentemente tecniche, in forza dell’ordine è stata ribadita definitivamente nel 2004, con la L. 36/2004.
[5] In parte citato da PATRONE G., 1970. Economia forestale. Tipografia Coppini, Firenze (FI), pag. 427

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

https://www.cansiglio.it/storia/storia-forestale-cansiglio/387-adolfo-di-berenger-forestale-in-cansiglio-e-fondatore-della-selvicoltura-italiana.html

VOLPINI C., 1966. Rivista di Storia dell’Agricoltura, a. VI, n.2, giugno 1966.

GABRIELLI A., 2005. I Maestri, Su le orme della cultura forestale. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze.

DI BÈRENGER A., 1867. Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” (cap. IX, pp. 758-769), Treviso e Venezia.