Santa Maria del Monte, l’alleanza di monaci e pastori

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Nel versante meridionale del Gran Sasso, a 1600 metri di altitudine, si scorgono ancora oggi le rovine di Santa Maria del Monte. Ricordano un tempo in cui monaci e pastori vivevano dello stesso pane, in cui preghiera e lavoro erano attività inseparabili.

È una storia che inizia tra il XII e il XIII secolo, quando le abbazie cistercensi fecero l’ingresso nel sistema economico della transumanza, tra gli Abruzzi e le Puglie. Le rovine sono ciò che rimane di una grangia, un vero e proprio insediamento produttivo, frutto del pioneristico lavoro di bonifica e di dissodamento dell’ordine monacale cistercense. Cuore pulsante dell’economia locale nel Medioevo, crocevia delle greggi transumanti che dalle praterie di Campo Imperatore approdavano al Tavoliere, la grangia era un luogo ispirato da un estremo rigore morale e religioso. Santa Maria del Monte dipendeva dall’abbazia di Santo Spirito d’Ocre, a sua volta dipendente dal complesso di Santa Maria di Casanova[1]. Chi vi lavorava (monaci, conversi e laici) si occupava dell’alpeggio degli armenti e dello stoccaggio di lana, formaggi e carne.

La struttura del monastero

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Ricostruzione ipotetica della pianta dell’edificio di Gabay Noémek* nella pubblicazione“Grangia cistercense Santa Maria del Monte a Campo Imperatore (L’Aquila)

La struttura, costruita con pietra calcarea locale, aveva un’area di circa duemila metri quadri ed era divisa in due parti: una riservata ai monaci, con una chiesa, un chiostro e diversi ambienti religiosi, e un’altra parte riservata ai conversi, con cortile, servizi e magazzini. Le suggestive rovine ricalcano ancora il perimetro dei mandroni, stazzi permanenti chiusi da muri a secco con una capienza stimata di ben 9700 capi di bestiame.

Alla fine dell’estate le greggi salite dalle valli abbandonavano i pascoli in alta quota e raggiungevano il Tratturo Magno in direzione del Tavoliere, probabilmente attraverso gli insediamenti fortificati di Santo Stefano e Calascio. I monaci, dal canto loro, scendevano di quota a causa delle rigidità invernali e si sistemavano in una valle riparata dai venti e coltivata a lenticchie ed orzo, in ambienti ancora oggi visibili: le condole. Si tratta di strutture a due piani in pietra, parzialmente interrate per conservare il calore, con muratura dello spessore di un metro e munite di volte a botte, oggi nel territorio di Santo Stefano di Sessanio.

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Esempio di condola

Le Locce

Santa Maria del Monte era dunque solo una delle basi di appoggio del sistema agro-pastorale d’altura. Scendendo ancora di quota, in territorio di Barisciano, si estende una suggestiva depressione carsica, intensamente coltivata. Parliamo del Piano delle Locce, che prende il nome dalle caratteristiche grotte artificiali che punteggiano i pendii, utilizzate come stazzi coperti per il bestiame, come rifugi provvisori di contadini e pastori o come magazzini di attrezzi agricoli e provviste. Costruite scavando nella roccia, ai piccoli ingressi muniti di architrave e rinforzati con muri a secco seguono uno stretto corridoio e un ampio ambiente, che si spinge in profondità. Un foro sulla volta permette all’aria di circolare.

Il pianoro ospitava un sistema pastorale abbastanza efficiente: agli scambi con la grangia si aggiungeva la vicinanza con piccoli villaggi come San Basilio e Sant’Angelo, che sarebbero andati a formare successivamente, con il loro spopolamento, il centro attuale di Barisciano[2]. Alcuni studiosi ipotizzano che questi piccoli centri siano nati proprio per sfruttare le risorse agricole del Piano, interagendo con i traffici pastorali di Santa Maria del Monte ed estinguendosi con la scomparsa della grangia, la cui ultima notizia risale al 1568.

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Versante montuoso costellato dalle tipiche Locce
foto di Alessandro Chiappanuvoli – Virtù quotidiane: https://www.virtuquotidiane.it/cronaca/le-locce-e-le-condole-gli-antichi-tesori-nascosti-nelle-terre-della-baronia.html

Tra passato e presente

La storia che emerge fin qui è quella di una montagna vivace, ricca di insediamenti e fulcro di un’intera economia. Ne sono testimoni le rovine dei monasteri che ancora oggi svettano in altitudine, le strutture in pietra che costellano le valli e i pendii ed i rifugi, alcuni abbandonati a sé stessi, altri trasformati in ricovero accogliente per turisti ed appassionati di montagna. Ma di questi ultimi parleremo nei prossimi articoli.

Diego Renzi

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

* Gabay N., “Grangia cistercense Santa Maria del Monte a Campo Imperatore (L’Aquila): Rilievo e studi di un insediamento medievale della transumanza in Italia Centrale”, Chronique des activités archéologiques de l’École française de Rome, 17 ottobre 2018.

Link: https://journals.openedition.org/cefr/2058?lang=it.

Micati E., “Pastorizia e agricoltura di sopravvivenza alle alte quote. Tipologie insediative”, Mélanges de l’École française de Rome-Antiquité, 2016, 13 giugno 2016 

Link: http://journals.openedition.org/mefra/3488


[1] Sappiamo dai documenti che nel 1222 l’imperatore Federico II pose l’abbazia di Casanova e tutti i suoi possedimenti sotto protezione imperiale. Sono pervenute a noi anche storie di conflitti, come quando i monaci di Casanova disboscarono la selva vicina alla grotta in cui era vissuto Pietro del Morrone, il futuro papa Celestino V, entrando in contrasto con l’ordine da lui fondato. (M.R. Berardi, I monti d’oro, identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell’Aquila medievale, Liguori Editore, op. cit., pp. 93-94).

[2] Cfr. R. Giannangeli, Terra di Barisciano, Japadre Editore, L’Aquila 1974.