Pastori poeti, un’armonia perduta

pastori poeti armonia perduta
Ivan Aivazovsky, gregge di pecore con i pastori al tramonto

La vita del pastore è da sempre dura, aspra, irta di ostacoli, immersa in una natura poco clemente. Nonostante ciò, sin dall’età classica, è stata avvolta da poeti e letterati in un’aura mitica, tipica di un mondo a cui guardare con ammirazione e nostalgia. I versi di Teocrito di Siracusa (310-260 a.C.), autore degli Idilli, ci hanno consegnato l’immagine del pastore poeta, cantore delle sofferenze e delle gioie d’amore, immerso in una natura docile e benigna.

Con l’avvento di Alessandro il Macedone e dopo la spartizione del suo impero ad opera dei diadochi, il cittadino greco della pòlis diviene suddito. Conclusi i ferventi anni della democrazia ateniese e dei governi cittadini, le classi colte si rifugiano nelle corti regali e abitano nuove, grandi metropoli, come Alessandria d’Egitto e Pergamo: città caotiche, rumorose, impersonali [1]. La letteratura abbandona così i tumulti della politica, lascia idealmente l’agorà e cerca realizzazione nel privato, presso intime cerchie di raffinati cultori delle arti. È in questo contesto che scaturisce la nostalgia per un’armonia perduta, in cui la natura sussurri ancora alle orecchie degli uomini.

Teocrito e le competizioni dei pastori poeti

Teocrito, inventore della poesia bucolica, ritrova questo altrove nella vita del pastore. Capaci di canto e di poesia, i pastori teocritei si sfidano in gare di versi (canti amebei), che si concludono con reciproci scambi di doni. Figura leggendaria è il mandriano Dafni, morto per amore. La triste vicenda è narrata dal pastore Tirsi al compagno capraio in cambio di una coppa istoriata:

Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
Questo è Tirsi dell’Etna e soave è il suono
della voce di Tirsi. In quale luogo,
dove eravate, Ninfe, mentre Dafni
si consumava? Nelle belle valli
del Penèo e del Pindo? Né il gran corso
del fiume Anàpo abitavate o
l’acqua sacra dell’Aci o il vertice dell’Etna.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale”.
La natura partecipa al dolore del suo Dafni, malato d’amore:
Gli sciacalli ulularono per lui,
per lui i lupi, per lui, per la sua morte
pianse il leone dentro la boscaglia.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
Molte mucche ai tuoi piedi e molti tori,
molte manze gemettero e vitelle.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale”.

La poesia risolleva l’animo distrutto dall’amore respinto, dando voce alla complessità delle sue sfumature. In Teocrito, tuttavia, non mancano l’ironia e un garbato distacco verso le passioni che affliggono i protagonisti:

Ah, che tipo infelice nell’amore
oltre misura e imbambolato sei!
Ti dicevi bovaro ed ora sembri
un perfetto capraio: si strugge gli occhi,
quando vede la monta delle capre,
il capraio, perché non è caprone.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
E tu ti struggi gli occhi quando vedi
come splende il sorriso delle vergini
perché non sei a danzare in mezzo a loro“.

La pratica delle gare poetiche è da sempre presente nel mondo pastorale. Per questo alcuni studiosi ritengono che Teocrito non abbia fatto altro che trasporre nella sua sensibilità letteraria un fenomeno preesistente di origine popolare. Nella figura del pastore-poeta, tuttavia, nonostante le descrizioni sottili, non bisogna scorgere un intento realista, ma una realtà trasfigurata, un’occasione evasiva destinata a un pubblico colto cittadino.

Incisione con busto immaginario di Teocrito – Wikipedia

Virgilio e l’Arcadia

Nel mondo romano fu nientemeno che Virgilio a raccogliere il testimone di Teocrito. Il poeta latino, scosso dai tumulti delle guerre civili, andava ricercando un luogo lontano, indefinito, attraverso cui rivivere il sogno dell’armonia perduta, un locus amoenus in cui trovare rifugio. Lo trovò nell’Arcadia, regione greca in realtà aspra e inospitale, ma patria del dio Pan e dei pastori suoi seguaci. Nelle Bucoliche [2] i nomi dei personaggi continuano ad essere greci, tuttavia alle orecchie dei latini dovevano suonare come echi di terre esotiche, lontane e mitiche.

Mentre Teocrito descrive i pastori e le loro passioni con gentilizio distacco, in Virgilio riscontriamo una grande serietà. Sì, perché nei versi del poeta latino si allungano le ombre della Roma del suo tempo. Melibeo non canta le sofferenze d’amore, ma lamenta l’esilio imminente dalle sue amate montagne. È un evidente rimando alle confische e alle redistribuzioni di terre ai veterani delle guerre civili: lo stesso Virgilio fu vittima di questi tumulti e rischiò di perdere le sue proprietà nel mantovano, a seguito della Battaglia di Filippi. Nelle parole di Melibeo traspare dunque il sentimento malinconico del poeta:

Titiro, sicuro tu giaci qui sotto i rami
Larghi del faggio e componi un canto silvestre
Col flauto sottile; e noi queste dolci campagne
Lasciamo, in fuga noi dalla patria. Tu, Titiro,
tranquillo nell’ombra insegni alle selve
a ripetere il nome della bella Amarillide”.

Rappresentazione di Virgilio del III secolo d.C. (Monnus-Mosaic, Rheinisches Landesmuseum, Treviri) – Wikipedia

In un presente caotico e violento, l’unico rifugio sembra essere la vita del pastore arcadico, sottratto alle logiche del quotidiano e alle sue incombenze, baluardo ideale di un mondo ormai perduto di amore e di canti:

“O Melibeo, un dio questa pace mi ha dato.
Lui certo un dio sarà sempre per me; e spesso
Trarrò dal mio ovile teneri agnelli
Per bagnare la sua ara di sangue.
Mi disse che bene i miei bovi potevano errare,
come vedi, al pascolo; e disse che pure potevo
canti al mio piacimento comporre sul càlamo”.

La figura del poeta pastore ha attraversato i secoli nella letteratura rinascimentale e arcadica e rimane ancora oggi impressa nell’immaginario popolare. Figure che costellano la storia dei mondi contadini della penisola italiana, fino agli albori del Novecento. Tra questi, Francesco Giuliani, pastore, poeta e scultore di Castel del Monte, di cui parleremo nel prossimo articolo.

Diego Renzi


[1] Si veda l’idillio XV, Le siracusane.

[2] Raccolta di dieci egloghe esametriche con trattazione e intonazione pastorali. Da Wikipedia.

Bibliografia:

Virgilio, Tutte le opere, Ezio Cetrangolo, SANSONI Editore

TEOCRITO E VIRGILIO PRECURSORI DELL’ARCADIA: http://enricia.altervista.org/Newton/Teocrito_Virgilio.pdf

LA LETTERATURA BUCOLICA:
https://www.academia.edu/6351837/_La_poesia_bucolica._Nota_introduttiva_in_Lo_Spazio_Letterario_di_Roma_antica_vol._VI_I_Testi._1_Poesia_a_cura_di_A._Fusi_A._Luceri_P._Parroni_G._Piras_Roma_Salerno_Editrice_2009_pp._603-8

2 Replies to “Pastori poeti, un’armonia perduta”

  1. Articolo interessante, mi piacerebbe leggere il successivo annunciato con un riferimento a Francesco Giuliani, sono la nipote e vorrei condividere lo scritto con i miei cugini.
    Grazie e complimenti.

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