Frequenze – Chi Siamo

Frequenze è un collettivo di ragazzi cresciuti nell’aquilano. Il progetto nasce dalla volontà di creare spazi ed eventi per valorizzare il territorio, l’arte, la cultura e le tradizioni del nostro intorno. Ciascuno di noi si muove in ambiti differenti, ognuno spinto dalla propria passione per contribuire a qualcosa che abbia un valore non solo culturale, ma anche sociale.

Frequenze è trovare un’armonia fra il nuovo e l’antico, fra sperimentazione e tradizione, fra natura e arte.

Siamo spinti da interessi differenti: ci sono persone che hanno la passione per la montagna e hanno voglia di organizzare escursioni per far conoscere i sentieri e i luoghi che caratterizzano il nostro paesaggio; artisti che cercano uno spazio per esprimersi anche nei posti che li hanno visti crescere; scrittori che vogliono contribuire a diffondere la cultura tramite articoli online trattando di svariati temi; altri che vivono fuori la nostra regione, chi per motivi di studio, chi per lavoro, ma non dimenticano le proprie radici; altri ancora che pur non essendo di queste terre, in un modo o nell’altro hanno deciso di abbracciare il progetto e offrire il proprio aiuto. Sono proprio le nostre differenze a favorire la varietà di temi che vogliamo affrontare insieme a voi!

D’altronde, anche frequenze diverse, con il tempo, tendono ad armonizzarsi per il principio di risonanza; un fenomeno che provoca un aumento significativo dell’ampiezza delle oscillazioni, che corrisponde ad un notevole accumulo di energia all’interno del sistema sollecitato.

Promuovere eventi che siano il frutto di una ricerca artistico-culturale può essere uno stimolo per tante persone. Inoltre gli articoli che pubblicheremo sul web, uniti all’impegno che ognuno di noi metterà nel condividere le nozioni e le curiosità del proprio campo di competenza, renderanno questo progetto un’esperienza unica, un’occasione preziosa per sviluppare idee e cultura insieme. Il confronto con altre persone, appassionate, impegnate, con esperienze proprie e con qualcosa da raccontare ci aiuta a crescere. Ognuno di noi vuole impegnarsi per migliorare sé stesso e, di conseguenza dare il suo piccolo ma quotidiano contributo per migliorare il mondo.

I 7 principi del suono – parte 1

fonte immagine: https://mmmmaven.com/2015/07/09/ableton-tip-creating-stereo-width-with-the-haas-effect/

Dopo aver analizzato sulla nostra pagina le tipologie e gli effetti delle onde, analizziamo in questa parte della rubrica anche i 7 principi che caratterizzano il suono.

1. ALTEZZA

È il parametro che ci permette di distinguere un suono acuto da uno grave. Dipende dalla frequenza dell’onda sonora. Alte frequenze corrispondono a un suono acuto, basse frequenze a un suono grave.
Il sistema uditivo umano percepisce dai 16 ai 20 000 Hz.
Il congresso di Londra del 1951 ha stabilito la frequenza di un suono di base detto diapason che si riferisce al La3 pari a 440 Hz, che viene utilizzato per l’accordatura di tutti gli strumenti. Giuseppe Verdi invece, insieme a altri musicisti italiani, sosteneva che bisognasse tornare a instaurare 432 vibrazioni per secondo, il cosiddetto “diapason scientifico”, ma questa è un’altra storia.
Si definisce Ottava, l’intervallo che divide due note con frequenze l’una il doppio dell’altra. In un’ottava ci sono sette intervalli di frequenze, ovvero le note musicali. Ogni coppia di note ha un rapporto di frequenze definito. Alcune, come il do e il re, hanno un rapporto che corrisponde a un tono, in altre, come il fa e il mi corrisponde a un semitono.

2. INTENSITÀ

Qualità associata alla forza del suono. Detta anche volume del suono, dipende dalla pressione acustica, generata dalle vibrazioni della sorgente sonora, che viene esercitata sul timpano. È influenzata anche dalla frequenza.
La gestione dell’intensità sonora è detta Dinamica. Per organizzare la composizione in base all’intensità, ci sono dei segni dinamici. Vengono annotate sul pentagramma con apposite sigle in corsivo. Certo non si possono riferire a tutti gli strumenti in maniera uguale. In un’orchestra però è al direttore che spetta il ruolo di equilibrare bene tutti gli strumenti. I segni basilari sono p (piano) e f (forte), poi fra i vari mp (mezzo piano) mf (mezzo forte), ppp , pp, ff, fff etc.
Si può sfruttare la dinamica per creare effetti sonori come la distorsione (dinamica alta). Inoltre si può giocare sulla psicologia della gente. Contrasti dinamici generano alterazioni sull’emozioni dello spettatore.

3. TIMBRO

A parità di altezza e intensità, il timbro ci permette di distinguere due suoni differenti. Per questo possiamo riconoscere chiaramente il suono di due strumenti differenti anche se suonano la stessa frequenza. Viene definito come il colore del suono (es. Klangfarbe in tedesco e tone-colour in inglese) proprio perché il timbro è determinato dallo spettro armonico. Lo spettro sonoro è un grafico che si utilizza nell’analisi di un rumore o di un suono: vi si riportano i livelli sonori in funzione della frequenza.
Il timbro dipende dalla forma dell’onda sonora, determinata dalla sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni.

EFFETTO DOPPLER


Dopo la prima e la seconda parte della rubrica riferita allo studio degli effetti delle onde, in questa terza sessione analizzeremo l’Effetto Doppler.

L’effetto Doppler è un fenomeno relativo alla percezione di un qualsiasi tipo d’onda in base al movimento dell’osservatore o della sorgente dell’onda. In acustica, la persona che ascolta riceverà un suono sempre più acuto all’avvicinarsi della sorgente e viceversa. Se sia la sorgente che la persona sono in movimento, dovremmo calcolare l’effetto Doppler analizzando separatamente i due spostamenti.
Si può constatare anche visualmente. Un esempio ci è fornito dalle galassie che si spostano rispetto dalla nostra.

La legge di Hubble

Nel 1929 Edwin Hubble associò l’effetto Doppler al colore che presentavano le galassie. Dedusse che si mostrano a noi con una luce a frequenze inferiori rispetto alla loro frequenza originale se si alontanano (red shift, appaiono di un colore tendente al rosso), a frequenze maggiori rispetto all’originale se si avvicinano (blue shift, tendono al colore blu-viola). Notò quindi che le galassie si stavano separando e che in passato dovevano essere più vicine fra loro. Questo supporta la teoria dell’inflazione dell’universo dopo il Big Bang.

Grazie agli studi di Hubble, gli scienziati possono affermare che l’universo ha circa 13,7 miliardi di anni. Attribuì una relazione lineare tra velocità e distanza delle galassie, denominata legge di Hubble. La costante che determina il tasso di espansione fu chiamata costante di Hubble. Ma con il tempo si scoprì che l’espansione cosmica sta accelerando e quindi non si può attribuire un valore fisso alla costante. Tutto ciò è causato da una forza sconosciuta, detta appunto Energia Oscura.

L’energia oscura è una ipotetica forma di energia non direttamente rilevabile diffusa omogeneamente nello spazio, che potrebbe giustificare, tramite una grande pressione negativa, l’espansione accelerata dell’universo e altre evidenze sperimentali. Si stima che debba rappresentare una gran parte, circa il 68%, della massa energia dell’universo. (Wikipedia)

Fonti:
Prof. E.Modica, “Definizioni sulle onde”, 2010/2011
http://galhassin.it/legge-di-hubble-lemaitre-come-nasce-la-cosmologia-moderna/#:~:text=Una%20legge%20apparentemente%20semplice%20ma,direttamente%20proporzionale%20alla%20loro%20distanza.
https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Hubble
https://it.wikipedia.org/wiki/Energia_oscura

Fonte immagine:
https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Doppler

EFFETTI DELLE ONDE – parte 2

In questa seconda parte della rubrica, in cui analizziamo gli effetti delle onde, ci occuperemo di riflessione, rifrazione e interferenza.

4. RIFLESSIONE

L’onda subisce un cambio di direzione dopo un impatto con un materiale riflettente.
In un campo di radiazione elettromagnetica, l’energia viene in parte assorbita dal corpo che viene colpito, in parte viene riflessa e in parte trasmessa. La somma delle quantità di energia è uguale a quella iniziale, per il principio di conservazione dell’energia.
Può essere classificata a seconda del tipo di riflessione. Può essere:
spettrale per indicare la radiazione monocromatica, cioè considerata lunghezza d’onda per lunghezza d’onda;
radiante (contrapposto a luminosa) per indicare che la radiazione è data in termini di energia totale, cioè è espressa mediante grandezze radiometriche;
luminosa (contrapposto a radiante) per indicare che la radiazione è pesata secondo la funzione di efficienza luminosa dell’occhio, cioè è espressa in grandezze fotometriche.

La riflessione può avvenire:
specularmente (riflessione speculare o regolare) cioè in un’unica direzione
diffusamente (riflessione diffusa) cioè in varie direzioni.
Se prendiamo in considerazione le onde elettromagnetiche, secondo il principio di Fermat possiamo affermare che “Il raggio incidente, il raggio riflesso e la normale al piano nel punto di incidenza giacciono sullo stesso piano” e per il principio di Huygens-Fresnel, “L’angolo di incidenza e l’angolo di riflessione sono uguali”.
Un’onda elettromagnetica riflessa può subire uno sfasamento. Questo dipende dagli indici di rifrazione del mezzo nel quale viaggia la luce (n1) e del mezzo oltre la superficie riflettente (n2):
Se n1 > n2 non c’è sfasamento;
Se n1 < n2 la radiazione riflessa è sfasata di π, cioè di mezza lunghezza d’onda.
Questo meccanismo, è utilizzato per la misurazione delle onde gravitazionali nei progetti VIRGO e LIGO, di cui parleremo nei prossimi articoli.

5. RIFRAZIONE

rifrazione

Quando l’onda incontra un altro mezzo di propagazione e la sua velocità di propagazione cambia, subisce una deviazione. Un classico esempio è quello che si nota nella rifrazione della luce quando immergiamo qualcosa nell’acqua. L’oggetto sembra spezzato proprio per la rifrazione. Stessa cosa accade anche ad altri tipi di onde, come quelle del mare a profondità diverse. Questo fenomeno è alla base dell’invenzione delle lenti, ma anche la causa degli arcobaleni. In questo caso la luce passa per un prisma (es. gocce d’acqua) che scompone la luce bianca nei vari colori.

6. INTERFERENZA

Quando in un punto si sovrappongono due o più onde si genera un’interferenza.
In questo caso l’ampiezza della nuova onda può variare da un minimo in cui non si presenta nessun fenomeno ondulatorio, e un massimo, in cui il valore dell’ampiezza è la somma delle intensità.
L’interferenza può essere:
Costruttiva: l’intensità risultante è maggiore di ogni singola intensità
Distruttiva: l’intensità risultante è minore di ogni singola intensità

effetti delle onde

fonti:
https://www.chimica-online.it/fisica/riflessione.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Onda

EFFETTI DELLE ONDE – parte 1

effetti delle onde
fonte immagine: https://corkartstheatre.com/event/dark-side-of-the-moon/

Analizzeremo nei prossimi articoli gli effetti delle onde. In questo articolo in particolare andremo a descrivere l’attenuazione, la diffrazione e la dispersione.

1. ATTENUAZIONE

È una riduzione di ampiezza in funzione della distanza percorsa nel mezzo, dovuta in genere alla cessione di energia dell’onda al mezzo di propagazione. Sarebbe il corrispettivo dell’azione dell’attrito in un sistema meccanico.
In acustica, per attenuazione si intende una diminuzione in ampiezza subita da un’onda sonora in dipendenza delle caratteristiche proprie, della sorgente e di quelle del mezzo che attraversa.
Nel campo dell’ottica si parla di attenuazione della luce in propagazione dalla sorgente luminosa al punto di osservazione o del segnale laser in una fibra ottica per effetto dell’assorbimento ottico.
In sismologia lo stesso concetto vale per le onde sismiche che si propagano nel terreno.
È presente in tutti i fenomeni fisici dato che è una conseguenza della dissipazione o dell’assorbimento dell’energia.

2. DIFFRAZIONE

L’onda viene deviata da un’apertura (fenditura) di dimensioni uguali o minori della lunghezza d’onda. Possiamo spiegare il fenomeno con il principio di Huygens-Fresnel:
Ogni elemento dΣ di un fronte d’onda Σ si può considerare formalmente come una sorgente secondaria di onde sferiche in fase con la primaria e di ampiezza proporzionale a quella dell’onda primaria e all’area dΣ. La perturbazione prodotta in un punto dello spazio si può sempre ottenere come sovrapposizione di tutte le onde sferiche secondarie che raggiungono quel punto.” (fig.1)
Questo significa che ogni punto della fenditura diventa una sorgente di onde che si propagano in tutte le direzioni dello spazio. Nel fenomeno luminoso si può riscontrare meglio l’effetto della diffrazione. L’interferenza fra le onde sferiche che si formano tramite la fenditura, infatti, produce un’alternanza di zone luminose e scure, generando un’interferenza. Si può osservare in natura nella corazza di alcuni coleotteri, nella coda del pavone, nell’ombra di un oggetto, ma anche nell’effetto arcobaleno nella parte inferiore di un cd, o nell’alone solare e lunare.

Diffrazione della luce
fig.1
fonte immagine:
https://www.chimica-online.it/fisica/riflessione.htm

5. DISPERSIONE

Ogni tipo di onda, che venga a contatto con un mezzo dispersivo, può essere soggetta alla dispersione. Si tratta di un fenomeno che causa la separazione dell’onda in diverse componenti con diversa lunghezza d’onda. L’esempio più classico è visibile con la luce, che viene scomposta da un prisma in componenti spettrali che si propagano con modalità differenti e generalmente con cammini diversi.
Dipende da:
– Dispersione di materiale: il materiale reagisce a seconda della frequenza delle onde:
– Dispersione di guida d’onda: la velocità dell’onda nella guida dipende dalla sua frequenza.
La dispersione della luce nel vetro di un prisma è usata per costruire spettrometri e spettroradiometri. Sono utilizzati anche reticoli olografici, poiché consentono una discriminazione più accurata delle lunghezze d’onda. La dispersione nelle lenti produce l’aberrazione cromatica, un effetto indesiderato che può distorcere la immagini in microscopi, telescopi ed obiettivi fotografici.

IL COLORE ::::: Fisica :::::
fig.2
Fonte immagine: http://www.serper.it/colore/fisica3.htm

fonti:
http://www.serper.it/colore/fisica3.htm
https://it.wikipedia.org/wiki/Onda#Effetti
https://www.phys.uniroma1.it/fisica/sites/default/files/file_PLS/Diffrazione_prof.pdf

TIPOLOGIE D’ONDA

In questo articolo, lo studio si concentra sull’analisi delle varie tipologie d’onda. Possiamo classificare le onde in base al mezzo e la direzione di propagazione e in base alla forma del loro fronte d’onda.


1. MEZZI DI PROPAGAZIONE

Le onde si dividono in de grandi categorie a seconda del mezzo in cui si propagano:

1.1. ONDE MECCANICHE: sono onde che hanno bisogno di un mezzo materiale per diffondersi, sprigionando energia meccanica.
Si dividono a loro volta in:
Onde sonore: la loro perturbazione consiste nella variazione della pressione
Onde elastiche: si propagano in un mezzo elastico (corda tesa, molla…)

1.2. ONDE ELETTROMAGNETICHE:
Non hanno bisogno di un mezzo materiale, si diffondono anche nel “vuoto”. Con la loro propagazione si può notare una variazione dell’intensità del loro campo elettrico o magnetico. Sono onde elettromagnetiche la luce, le onde radio, i raggi X etc.

2. DIREZIONE DI PROPAGAZIONE

In un’onda trasversale il raggio di propagazione e la direzione del moto delle molecole individuano un piano di vibrazione o di polarizzazione. Se esso rimane fisso, senza ruotare, si parla di onda polarizzata.
Anche le onde elettromagnetiche hanno lo stesso comportamento. Si tratta sempre di onde trasversali a due dimensioni.

2.1. ONDE LONGITUDINALI: l’onda si propaga in direzione parallela rispetto all’elemento che la genera.
Sono onde longitudinali le onde sonore e le onde sismiche di tipo P. Al loro passaggio le particelle del materiale attraversato compiono un moto oscillatorio nella direzione di propagazione dell’onda. In un terremoto, sono le onde che per prime vengono avvertite, da cui il nome di Onda P (Primaria).

2.2. ONDE TRASVERSALI: l’onda si propaga in direzione perpendicolare rispetto all’elemento che vibra. Includono il moto dei campi elettrici e magnetici e le onde sismiche di tipo S. Queste ultime durante un terremoto, vengono registrate dopo le onde P. Per intendere il loro comportamento, si può immaginare una corda di lunghezza finita, che viene fatta oscillare muovendone le due estremità. Questo tipo di onde non possono propagarsi in mezzi fluidi, in cui il modulo di rigidità è nullo.

2.3. ONDE MISTE: il moto di vibrazione avviene in tutte le direzioni.

3. FORMA DEL FRONTE D’ONDA

Con il termine fronte d’onda si intende l’insieme di tutti i punti che vibrano allo stesso modo in fase tra di loro e presi in un certo istante, essi si saranno spostati esattamente della stessa distanza dalla posizione di equilibrio.

3.1. ONDE PIANE: onde che hanno come fronte d’onda una retta; un’onda piana è un’onda a frequenza costante i cui fronti d’onda sono infiniti piani paralleli perpendicolari alla direzione di propagazione, e la cui ampiezza picco-picco è costante.

3.2. ONDE CIRCOLARI: onde che hanno come fronte d’onda una circonferenza (per esempio le onde generate da un sasso che cade in acqua);

3.3. ONDE SFERICHE: onde che hanno come fronte d’onda una sfera (per esempio
le onde sonore, le onde luminose, etc.); un’onda sferica è tale quando la sorgente dell’onda è puntiforme in modo che il fronte d’onda si propaghi in proporzione alla distanza r dalla sorgente.

fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Onda
https://it.wikipedia.org/wiki/Radiazione_elettromagnetica
https://it.wikipedia.org/wiki/Onde_sismiche#:~:text=Le%20onde%20sismiche%20sono%20onde,forma%20di%20energizzazione%20del%20terreno.
https://www.chimica-online.it/fisica/fronte-d-onda.htm#:~:text=Il%20fronte%20d’onda%20(o,distanza%20dalla%20posizione%20di%20equilibrio.


Santa Maria del Monte, l’alleanza di monaci e pastori

santa maria del monte monaci pastori

Nel versante meridionale del Gran Sasso, a 1600 metri di altitudine, si scorgono ancora oggi le rovine di Santa Maria del Monte. Ricordano un tempo in cui monaci e pastori vivevano dello stesso pane, in cui preghiera e lavoro erano attività inseparabili.

È una storia che inizia tra il XII e il XIII secolo, quando le abbazie cistercensi fecero l’ingresso nel sistema economico della transumanza, tra gli Abruzzi e le Puglie. Le rovine sono ciò che rimane di una grangia, un vero e proprio insediamento produttivo, frutto del pioneristico lavoro di bonifica e di dissodamento dell’ordine monacale cistercense. Cuore pulsante dell’economia locale nel Medioevo, crocevia delle greggi transumanti che dalle praterie di Campo Imperatore approdavano al Tavoliere, la grangia era un luogo ispirato da un estremo rigore morale e religioso. Santa Maria del Monte dipendeva dall’abbazia di Santo Spirito d’Ocre, a sua volta dipendente dal complesso di Santa Maria di Casanova[1]. Chi vi lavorava (monaci, conversi e laici) si occupava dell’alpeggio degli armenti e dello stoccaggio di lana, formaggi e carne.

La struttura del monastero

santa maria del monte monaci pastori
Ricostruzione ipotetica della pianta dell’edificio di Gabay Noémek* nella pubblicazione“Grangia cistercense Santa Maria del Monte a Campo Imperatore (L’Aquila)

La struttura, costruita con pietra calcarea locale, aveva un’area di circa duemila metri quadri ed era divisa in due parti: una riservata ai monaci, con una chiesa, un chiostro e diversi ambienti religiosi, e un’altra parte riservata ai conversi, con cortile, servizi e magazzini. Le suggestive rovine ricalcano ancora il perimetro dei mandroni, stazzi permanenti chiusi da muri a secco con una capienza stimata di ben 9700 capi di bestiame.

Alla fine dell’estate le greggi salite dalle valli abbandonavano i pascoli in alta quota e raggiungevano il Tratturo Magno in direzione del Tavoliere, probabilmente attraverso gli insediamenti fortificati di Santo Stefano e Calascio. I monaci, dal canto loro, scendevano di quota a causa delle rigidità invernali e si sistemavano in una valle riparata dai venti e coltivata a lenticchie ed orzo, in ambienti ancora oggi visibili: le condole. Si tratta di strutture a due piani in pietra, parzialmente interrate per conservare il calore, con muratura dello spessore di un metro e munite di volte a botte, oggi nel territorio di Santo Stefano di Sessanio.

santa maria del monte monaci pastori
Esempio di condola

Le Locce

Santa Maria del Monte era dunque solo una delle basi di appoggio del sistema agro-pastorale d’altura. Scendendo ancora di quota, in territorio di Barisciano, si estende una suggestiva depressione carsica, intensamente coltivata. Parliamo del Piano delle Locce, che prende il nome dalle caratteristiche grotte artificiali che punteggiano i pendii, utilizzate come stazzi coperti per il bestiame, come rifugi provvisori di contadini e pastori o come magazzini di attrezzi agricoli e provviste. Costruite scavando nella roccia, ai piccoli ingressi muniti di architrave e rinforzati con muri a secco seguono uno stretto corridoio e un ampio ambiente, che si spinge in profondità. Un foro sulla volta permette all’aria di circolare.

Il pianoro ospitava un sistema pastorale abbastanza efficiente: agli scambi con la grangia si aggiungeva la vicinanza con piccoli villaggi come San Basilio e Sant’Angelo, che sarebbero andati a formare successivamente, con il loro spopolamento, il centro attuale di Barisciano[2]. Alcuni studiosi ipotizzano che questi piccoli centri siano nati proprio per sfruttare le risorse agricole del Piano, interagendo con i traffici pastorali di Santa Maria del Monte ed estinguendosi con la scomparsa della grangia, la cui ultima notizia risale al 1568.

santa maria del monte monaci pastori
Versante montuoso costellato dalle tipiche Locce
foto di Alessandro Chiappanuvoli – Virtù quotidiane: https://www.virtuquotidiane.it/cronaca/le-locce-e-le-condole-gli-antichi-tesori-nascosti-nelle-terre-della-baronia.html

Tra passato e presente

La storia che emerge fin qui è quella di una montagna vivace, ricca di insediamenti e fulcro di un’intera economia. Ne sono testimoni le rovine dei monasteri che ancora oggi svettano in altitudine, le strutture in pietra che costellano le valli e i pendii ed i rifugi, alcuni abbandonati a sé stessi, altri trasformati in ricovero accogliente per turisti ed appassionati di montagna. Ma di questi ultimi parleremo nei prossimi articoli.

Diego Renzi

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

* Gabay N., “Grangia cistercense Santa Maria del Monte a Campo Imperatore (L’Aquila): Rilievo e studi di un insediamento medievale della transumanza in Italia Centrale”, Chronique des activités archéologiques de l’École française de Rome, 17 ottobre 2018.

Link: https://journals.openedition.org/cefr/2058?lang=it.

Micati E., “Pastorizia e agricoltura di sopravvivenza alle alte quote. Tipologie insediative”, Mélanges de l’École française de Rome-Antiquité, 2016, 13 giugno 2016 

Link: http://journals.openedition.org/mefra/3488


[1] Sappiamo dai documenti che nel 1222 l’imperatore Federico II pose l’abbazia di Casanova e tutti i suoi possedimenti sotto protezione imperiale. Sono pervenute a noi anche storie di conflitti, come quando i monaci di Casanova disboscarono la selva vicina alla grotta in cui era vissuto Pietro del Morrone, il futuro papa Celestino V, entrando in contrasto con l’ordine da lui fondato. (M.R. Berardi, I monti d’oro, identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell’Aquila medievale, Liguori Editore, op. cit., pp. 93-94).

[2] Cfr. R. Giannangeli, Terra di Barisciano, Japadre Editore, L’Aquila 1974.

La crisi della pastorizia, dall’Impero romano ad oggi

Pastorizia
Statuetta del Buon Pastore, Musei Vaticani.

Pascolo e bosco: antichi sinonimi

La concezione del termine pascolo ai tempi degli antichi greci e romani era ben differente dall’attuale. Era infatti sinonimo di bosco (dal greco equisono βόσκω). Con “pascolo” si intendeva un ceduo[1], un tipo di bosco che non era né selva[2] (silva) e nemmeno foresta[3]. Anche le parole greche nemos, ed alsos, così come le latine nemus e saltus si riferiscono sia al bosco che al pascolo. Ancora oggi, sebbene poco usata come accezione, per “salto”, dalla derivazione latina, si intende un monte selvoso. I custodi dei boschi e dei pascoli venivano chiamati saltuarii in Italia e alcosomi in Grecia. 

L’uso di queste parole ci fa intendere un rapporto inseparabile tra bosco e pascolo, che era tale soprattutto in termini economici. Fu solo la trasformazione del territorio a scinderne per sempre il significato. Con il passare del tempo, l’esercizio del pascolo provocò un impoverimento dei boschi che lasciarono spazio a un manto erboso sempre più rigoglioso. 

L’Abruzzo e in particolar modo Campo Imperatore, giocò un ruolo fondamentale in questo via vai di pastori, generando la propria ricchezza proprio dai pascoli montani. Già dai tempi dei romani, l’aspetto dell’altopiano cominciò a modificarsi, fino ad arrivare alla formazione delle caratteristiche praterie secondarie che si possono ammirare oggi.

L’abuso dei pascoli

I proprietari terrieri vedevano nella pastorizia una maggiore fonte di reddito rispetto alla vendita di legname, che importava, maggiori costi di gestione e, soprattutto in terreni scadenti, ricavi più bassi. Se prima dell’espansione dell’impero romano trovavamo un delicato equilibrio fra l’agricoltura, la pastorizia e la selvicoltura, la sete di conquista decretò un inevitabile aumento della coltura pascoliva; e a pagarne il prezzo più alto fu il bosco. La trasformzione della figura dell’agricoltore e del pastore seguì di pari passo la deforestazione di molti paesaggi italici. Se anticamente i due mestieri erano prerogativa di liberi uomini, la professione veniva svolta sempre di più da schiavi, servi e prigionieri di guerra

Inutile fu la legge che indisse Giulio Cesare per far in modo che almeno un terzo dei pastori dovessero essere uomini liberi: i patrizi romani disponevano di migliaia di schiavi che, come scrisse Seneca, erano più numerosi dei barbari, che già minacciavano le frontiere della penisola italica.  C’erano così tante mandrie di bestiame che quasi non bastavano le terre per poterle pascolare. 

L’abuso del pascolo fu quindi la causa del deturpamento delle bellezze naturali del Meridione, soprattutto in Lazio e in Sicilia. I disordinati disboscamenti devastarono i monti d’Italia: l’isterilimento della terra ed il dissesto idrogeologico che seguirono, portarono a un’emigrazione di massa verso le città. Fu la prima crisi che subì la nobile arte della pastorizia, che aveva permesso, insieme all’agricoltura ed alla selvicoltura, lo sviluppo di fiorenti civiltà. 

La crisi della società pastorale

In conclusione, possiamo dire che nel corso dei secoli la figura del pastore è cambiata moltissimo. Abbiamo visto come il mutamento nell’uso del suolo durante l’Impero romano causò dei danni che sono ancora evidenti nel paesaggio del Bel Paese. All’equilibrio che si era stabilito fra l’arte pastorale, l’agricoltura e la selvicoltura si stostituì il disordine colturale, l’instabilità economica, sociale ed il dissesto idrogeologico. L’ingordigia e l’avidità di alcuni proprietari terrieri fu la causa della scomparsa di una realtà culturale e colturale che mai tornò al suo antico splendore. Una realtà che oltre alla produzione di beni materiali, dall’alimentazione, all’artigianato, era anche la culla di arte e conoscenza.

Certo, l’aumento della produzione causò un drastico cambio nelle abitudini dei pastori, ma questo non frenò la diffusione culturale in questo ambiente. Per questo abbiamo testimonianze anche abbastanza recenti di artisti e poeti legati al mondo della pastorizia. Non dimentichiamo che in fondo ancora oggi, chi affronta questo duro mestiere con passione può apprezzare quel senso di libertà che lo lega con i propri antenati. Di sicuro il rapporto con il resto della società è sempre più influente ma quando ti ritrovi con il gregge, tutto cambia, tutto viene lasciato da parte.

Quella dell’impero romano fu solo la prima crisi che ha dovuto affrontare la pastorizia. Con il tempo, l’affluenza verso le città, il progresso industriale, fino ad arrivare al frenetico stile di vita odierno, hanno causato diverse crisi, molto più devastanti. Lo possiamo constatare anche dal fatto che oggigiorno fare il pastore non è un’attività redditizia come lo era fino al secolo scorso.

La pastorizia oggi

La svalutazione della lana e del latte, la mala gestione dei pascoli, la corruzione e il mercato globalizzato sono solo alcuni fattori che stanno distruggendo le piccole realtà pastorali. Nel settore alimentare, abbiamo sacrificato la qualità per la quantità. Se già Roma, nel V secolo d.C. aveva già il continuo bisogno di intervenire sull’ambiente per soddisfare la propria domanda di produzione alimentare, con la politica capitalista attuale la situazione è ancora peggiore. La produzione non è relazionata al consumo: l’allevamento e l’agricoltura intensiva generano più risorse di quelle che realmente si necessitano. Inevitabilmente, si interviene senza criterio sull’ambiente.

La selvicoltura oggi

In Italia, la Scienza e l’Arte forestale un tempo venivano insegnate ai funzionari della Forestale nell’Istituo forestale di Firenze, poi Istituto Superiore, ed oggi nelle Università di scienze forestali ai professionisti del settore[4]. L’arte di coltivare i boschi (selvicoltura), a nostro avviso, non è percepita da buona parte della collettività nel modo corretto e di conseguenza non riceve la considerazione che merita. Manca fra le genti d’Italia quella che Luzzatti definiva coscienza forestale, e manca da parte delle istituzioni pubbliche una propaganda concreta, di ordine tecnico-economico, volta a dimostrare, con esempi reali, come si gestiscono, ovvero come si coltivano i boschi, nei riguardi tecnici, ma anche sotto l’aspetto economico, nel pieno rispetto di inderogabili leggi di ordine fisico e bioecologico alle quali è soggetto ogni ecosistema forestale;[5] e che ogni tecnico forestale, degno di questo nome, deve conoscere per poter garantire la perpetuazione della fitocenosi. Bisogna instaurare un dialogo costruttivo con i cittadini e con le molteplici associazioni ambientaliste che si muovono, con spirito sincero e spesso in buona fede, per la salvaguardia dell’ambiente, e che troppo spesso confondono l’assestamento forestale e l’attività selvicolturale con “disboscamento” e “distruzione”. Di concerto è necessario un controllo efficace svolto da un organo di polizia con dipendenti qualificati ed adeguatamente preparati nella poliedrica Scienza forestale, per prevenire, più che reprimere, illeciti e cattiva gestione del territorio forestale e montano.

Il rapporto con l’ambiente sembra interessare sempre meno a una società che ha distrutto i propri valori. Ha dimenticato che la sua esistenza ha origine da fiorenti civiltà che attribuivano alla natura, alle arti, alla musica, all’agricoltura, alla selvicoltura ed al pascolo, un valore sacro. 

Paradossalmente, in un mondo dove la cultura e la tradizione vengono messe da parte, l’unica testimonianza di quel senso di libertà che aleggiava intorno alla figura del pastore la ritroviamo degli antichi poemi che essi stessi ci hanno lasciato. Un mondo, il loro, che racchiude una dignità storica indescrivibile, macchiata prima dal sangue sulle catene degli schiavi romani, poi dalla svalutazione odierna di uno dei mestieri più antichi al mondo. 


[1] Sfruttando la propagazione vegetativa di alcune specie legnose, si effettuano dei tagli periodici, con conseguente emissione di getti, detti polloni, dalle porzioni della pianta madre rimaste sul terreno; questi polloni formano il bosco, detto ceduo (dal latino caedo = taglio). Il ceduo si origina per riproduzione agamica e non gamica (sessuale). Il ceduo è una delle due fondamentali forme di governo dei boschi. (In parte citato da PAVARI A., 1943. Governo e trattamento dei boschi, Tipografia Ramo Editoriale degli Agricoltori S. A., Roma.)
[2] Termine generico che in antichità veniva utilizzato per indicare un bosco, senza fornire informazioni riguardo la forma di governo ed il trattamento selvicolturale.
[3] Oggi, la parola foresta ha il significato che un tempo rivestiva il vocabolo “selva”, invece, all’epoca, foresta identificava un bosco governato a fustaia, ovvero quel particolare regime selvicolturale in cui si lasciano crescere gli alberi secondo le legge “naturali” dello sviluppo, sino ad un’età, detta di maturità, in modo che essi assumono le dimensioni ed i caratteri di piante di alto fusto. Di regola le fustaie si originano e si riproducono per seme. (In parte citato da PAVARI A., 1943. Governo e trattamento dei boschi, Tipografia Ramo Editoriale degli Agricoltori S. A., Roma.)
[4] Per professionisti forestali intendiamo i laureati in Scienze forestali che esercitano una professione regolamentata con il titolo di “Dottore forestale” ed appartengono all’Ordine dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali (L. 3/1976 e ss. mm. e ii.). Fra le mansioni svolte da suddetti professionisti, ci sono: l’assestamento forestale (pianificazione e gestione delle foreste), la progettazione di interventi selvicolturali (utilizzazioni forestali), di rimboschimenti, di sistemazioni idraulico-forestali, di bioingegneria forestale (Ingegneria Naturalistica), ecc.
Fino al 1981 l’assestamento forestale, la progettazione forestale (interventi selvicolturali, rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestal, e in generale opere di difesa contro il dissesto idrogeologico), il vivaismo forestale e via dicendo erano compiti prevalenti o esclusivi, prima del Corpo Reale delle Foreste, poi della Milizia Nazionale Forestale; e dal 1948, anno delllo scioglimento della Milizia, del Corpo Forestale dello Stato, che ha mantenuto il suo ordinamento di “corpo tenico con funzioni di polizia” fino alle modifiche al Codice di Procedura Penale e alla promulgazione della L. 121/1981. Questo strumento legislativo inserì il Corpo fra le cinque “Forze di Polizia dello Stato”, riducendo gli storici compiti di gestione e di difesa del territorio del CFS, in favore di mansioni di vigilanza e repressione delle violazioni a danno dell’ambiente. La trasformazione di questo corpo con funzioni prevalentemente tecniche, in forza dell’ordine è stata ribadita definitivamente nel 2004, con la L. 36/2004.
[5] In parte citato da PATRONE G., 1970. Economia forestale. Tipografia Coppini, Firenze (FI), pag. 427

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

https://www.cansiglio.it/storia/storia-forestale-cansiglio/387-adolfo-di-berenger-forestale-in-cansiglio-e-fondatore-della-selvicoltura-italiana.html

VOLPINI C., 1966. Rivista di Storia dell’Agricoltura, a. VI, n.2, giugno 1966.

GABRIELLI A., 2005. I Maestri, Su le orme della cultura forestale. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Firenze.

DI BÈRENGER A., 1867. Studii di archeologia forestale. Dell’antica storia e giurisprudenza forestale in Italia” (cap. IX, pp. 758-769), Treviso e Venezia.


Francesco Giuliani, il pastore poeta di Campo Imperatore

“La sera quello voleva legge, e le nonne gli strillavano, perché consumava la lume!” [1]

Lo sguardo di Francesco Giuliani racchiude una vita di cultura, giustizia e amore per la propria terra. Chicche ru cuaprare, cosi lo chiamavano i suoi compaesani, nasce il 5 agosto del 1890 a Castel del Monte; dedica la propria esistenza al gregge: 50 anni di viaggi fra il Tavoliere delle Puglie e i pascoli estivi dell’altopiano di Campo Imperatore. Una vita illuminata dalle sue grandi passioni: la lettura, la poesia e la scultura del legno. 

giuliani pastore campo imperatore
Immagine da Camminare nella storia: https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/2014/01/22/la-transumanza-del-pastore-poeta-francesco-giuliani/

Tra le selve e sui monti anch’io pastore
Con il gregge ed a questo affezionato
Nel bel piano di Campo Imperatore
Quante stagioni io vissi beato;
E leggevo con cura e con amore
Dante, Petrarca e l’Ariosto lodato,
Questi sempre compagni e cari amici
Per cui viver potei giorni felici.

Il disprezzo per la guerra

Se Teocrito narrava di un mondo paradisiaco, abitato da pastori poeti che esprimevano le loro passioni nei loro canti, Giuliani racconta la cruda realtà pastorale di un Abruzzo segnato delle due grandi guerre del ‘900. L’antropologa Annabella Rossi, che dedicò numerosi studi al folklore del centro-sud Italia, fu la prima a raccogliere le testimonianze di Giuliani, che le lasciò i suoi preziosi quaderni nel 1960. In seguito, gli studi della ricercatrice furono fondamentali per la scrittura di vari libri sulla vita del pastore. Nei suoi scritti, esprime sempre un forte disprezzo per la guerra, denunciando le oppressioni e le ingiustizie, incitando il lettore a diffidare di colui che promette “la pace e l’abbondanza”. 

Liberatevi un po’ dall’ignoranza,
Cercate di sapere e d’imparare
Quanto ci vuole a non farsi ingannare.

Conobbe in prima persona le atrocità del primo conflitto mondiale, riportando nei suoi quaderni la testimonianza della vita in trincea. La sua anima letteraria si evince anche nel racconto dei saccheggi dei suoi compagni, in cui ammette di aver avuto il “coraggio di prendermi un libro”. 

“In mezzo a tutto quel rimestamento di roba vidi due libri: le Rime del Petrarca, e la Leda senza cigno di Gabriele D’Annunzio; li raccolsi con premura e li misi nel tascapane [2]”.

Non c’è da sorprendersi se la sua biblioteca personale contasse 400 libri. Un portale di sapienza che proietta il pastore verso una consapevolezza interiore differente, che lo aiuta a superare le tristi memorie della guerra e le difficoltà del proprio mestiere. Solo, nell’immensità dei pascoli di Campo Imperatore o ammirando il mare della Puglia, dà sfogo alla sua vena poetica, lasciandoci un patrimonio culturale dal valore inestimabile. 

Lo scultore

“Quando facevo il pastore, quando il tempo lo permetteva, e quando le pecore stavano assise, lavoravo il legno. Lo lavoravo così, senza avere gli arnesi per poterlo fare per bene. Mi piaceva anche leggere quando le pecore stavano assise. Se invece di fare il pastore avessi fatto un altro mestiere, non mi sarei mai accorto di essere capace a lavorare la pietra e il legno[3]”

Dopo una breve esperienza lavorando in una fabbrica in Francia, torna nella sua amata terra d’Abruzzo per continuare a svolgere l’attività pastorale. Una volta in patria, non si separa più dal proprio bestiame fino a quando, passati i 60 anni, decide di andare in pensione per dedicarsi interamente alla sua altra passione: l’incisione e la scultura del legno

giuliani pastore campo imperatore
Immagine da Semi sotto la Pietra: https://semisottolapietra.wordpress.com/2019/07/15/esser-non-voglio-un-pastoraccio-incolto-francesco-giuliani-lultimo-poeta-pastore/

“Non c’era lavoro nei campi né con le pecore, e io lavoravo il legno tutto il giorno, ma non vendevo niente o quasi. In famiglia mi gridavano che non dovevo fare quegli oggetti perché tanto non si vendevano, ma io li facevo lo stesso perché avevo sempre in testa che un giorno si sarebbero venduti. Qualche oggetto lo vendevo a chi passava davanti casa e mi vedeva lavorare; i bambini si fermavano incuriositi e le mamme compravano qualcosa per una miseria. [4]”

Sebbene in principio la gente del borgo non apprezzasse le opere di Giuliani, poi negli ultimi anni esse furono oggetto di attenzione di varie mostre italiane. Sua nipote, nel documentario dedicato al pastore, conferma che gli inviti di partecipazione alle mostre continuarono ad essere recapitati, anche dopo la morte del pastore.
Iniziò a prestare maggiore attenzione nel lasciare le sue creazioni, dopo essersi reso conto che in una mostra a Firenze fu venduta una sua opera senza che egli ricevesse una lira. Oltre a sedie, forchettoni e altri oggetti di vita quotidiana, realizzava incisioni figurative e scolpiva busti di personaggi illustri. 

L’eredità culturale

Dai quaderni di Giuliani, raccolti da Maurizio Gentile nel libro Se ascoltar vi piace: dai quaderni di Francesco Giuliani, si legge dell’antica quotidianità del borgo di Castel del Monte. Una di queste è legata alla credenza che avevano gli abitanti nelle streghe. Se un bambino veniva colpito da una malattia sconosciuta, si pensava fosse opera delle streghe. Era usanza fare il giro del paese di notte e “passare sotto sette sporti”. 

“Il giro si faceva verso la mezzanotte quando le vie erano deserte, e la comare del battesimo doveva portare in braccio la creatura seguita da altre donne tutte in silenzio e, se pure si incontrava qualcuno non si doveva fare una parola, con tutto questo credevano di allontanare le streghe e far guarire la creatura[5]”.    

giuliani pastore campo imperatore
Immagine da Virtù Quotidiane: https://www.virtuquotidiane.it/cronaca/castel-del-monte-torna-a-vestirsi-di-magia-con-la-notte-delle-streghe.html

Le parole di Giuliani oggi sono tenute vive grazie all’evento che ogni estate si celebra nel borgo: la “Notte delle streghe”. Si tratta di una rappresentazione teatrale itinerante: gli spettatori sono accompagnati fra i vicoli del paese e assistono allo svolgersi della storia, rigorosamente in dialetto locale. Altro evento nato grazie alle parole del poeta è anche “Òme se nasce, bregànte se mòre”. Giuliani infatti, racconta dei briganti e delle loro gesta nel territorio abruzzese. Grande merito per la rievocazione storica degli scritti del poeta va a Marco Basile, che oltre ad aver scritto sulla storia del pastore e di Castel del Monte, cura anche la sceneggiatura degli spettacoli teatrali. 

Il fascino della figura di Giuliani ha ispirato opere musicali, teatrali e documentari. Una figura che già nel ‘900 sembrava un’eccezione e di cui, soprattutto oggi, il mondo pastorale sente la mancanza. Le tante difficoltà del mestiere, già forti nei secoli passati, sono accentuate dai ritmi di una società frenetica che ignora le antiche tradizioni. Anche se l’Abruzzo mantiene viva una piccola parte di quello che fu la pastorizia, storie come quella di Francesco Giuliani sembrano solo un ricordo perso nel tempo. 

[1]  Testimonianza presente nel documentario “Se vi piace ascoltare, Francesco Giuliani, pastore” di Isabella Micati e Alessio Tessitore, presentato al TrentoFilmfestival

Bibliografia e sitografia

Giuliani, F., 1992, Se ascoltar vi piace: dai quaderni di Francesco Giuliani, (a cura di Maurizio Gentile), Lindau editore, Torino

Basile, M., 2008, Terra mia: uomini e vicende tra storia e memoria, San Gabriele (TE): Editoriale ECO

https://www.nazioneindiana.com/2011/06/20/se-vi-piace-ascoltar-cari-signori/ [2]

pdf Centro Sociale n.39-40, 1961 – Artigianato e arte popolare:  [3-4] http://www.byterfly.eu/islandora/object/librib:28704/datastream/PDF/content/librib_28704.pdf

http://www.lanottedellestreghe.org/ [5]

https://semisottolapietra.wordpress.com/2019/07/15/esser-non-voglio-un-pastoraccio-incolto-francesco-giuliani-lultimo-poeta-pastore/

http://camminareleggendo.blogspot.com/2011/06/francesco-giuliani-storia-antica-del.html

http://www.vincenzobattista.it/quellupupa-incisa-nel-faggio-da-francesco-giuliani-gran-sasso-ditalia/

Video: 

https://www.youtube.com/watch?v=hz-K_7rY4Ac&list=PLH-Qha95qsXnhKCC2A1Dg2tT0juvQZgb3&index=11

https://www.youtube.com/watch?v=u02zmHwVHHA

Pastori poeti, un’armonia perduta

pastori poeti armonia perduta
Ivan Aivazovsky, gregge di pecore con i pastori al tramonto

La vita del pastore è da sempre dura, aspra, irta di ostacoli, immersa in una natura poco clemente. Nonostante ciò, sin dall’età classica, è stata avvolta da poeti e letterati in un’aura mitica, tipica di un mondo a cui guardare con ammirazione e nostalgia. I versi di Teocrito di Siracusa (310-260 a.C.), autore degli Idilli, ci hanno consegnato l’immagine del pastore poeta, cantore delle sofferenze e delle gioie d’amore, immerso in una natura docile e benigna.

Con l’avvento di Alessandro il Macedone e dopo la spartizione del suo impero ad opera dei diadochi, il cittadino greco della pòlis diviene suddito. Conclusi i ferventi anni della democrazia ateniese e dei governi cittadini, le classi colte si rifugiano nelle corti regali e abitano nuove, grandi metropoli, come Alessandria d’Egitto e Pergamo: città caotiche, rumorose, impersonali [1]. La letteratura abbandona così i tumulti della politica, lascia idealmente l’agorà e cerca realizzazione nel privato, presso intime cerchie di raffinati cultori delle arti. È in questo contesto che scaturisce la nostalgia per un’armonia perduta, in cui la natura sussurri ancora alle orecchie degli uomini.

Teocrito e le competizioni dei pastori poeti

Teocrito, inventore della poesia bucolica, ritrova questo altrove nella vita del pastore. Capaci di canto e di poesia, i pastori teocritei si sfidano in gare di versi (canti amebei), che si concludono con reciproci scambi di doni. Figura leggendaria è il mandriano Dafni, morto per amore. La triste vicenda è narrata dal pastore Tirsi al compagno capraio in cambio di una coppa istoriata:

Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
Questo è Tirsi dell’Etna e soave è il suono
della voce di Tirsi. In quale luogo,
dove eravate, Ninfe, mentre Dafni
si consumava? Nelle belle valli
del Penèo e del Pindo? Né il gran corso
del fiume Anàpo abitavate o
l’acqua sacra dell’Aci o il vertice dell’Etna.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale”.
La natura partecipa al dolore del suo Dafni, malato d’amore:
Gli sciacalli ulularono per lui,
per lui i lupi, per lui, per la sua morte
pianse il leone dentro la boscaglia.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
Molte mucche ai tuoi piedi e molti tori,
molte manze gemettero e vitelle.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale”.

La poesia risolleva l’animo distrutto dall’amore respinto, dando voce alla complessità delle sue sfumature. In Teocrito, tuttavia, non mancano l’ironia e un garbato distacco verso le passioni che affliggono i protagonisti:

Ah, che tipo infelice nell’amore
oltre misura e imbambolato sei!
Ti dicevi bovaro ed ora sembri
un perfetto capraio: si strugge gli occhi,
quando vede la monta delle capre,
il capraio, perché non è caprone.
Incominciate, predilette Muse,
incominciate il canto pastorale.
E tu ti struggi gli occhi quando vedi
come splende il sorriso delle vergini
perché non sei a danzare in mezzo a loro“.

La pratica delle gare poetiche è da sempre presente nel mondo pastorale. Per questo alcuni studiosi ritengono che Teocrito non abbia fatto altro che trasporre nella sua sensibilità letteraria un fenomeno preesistente di origine popolare. Nella figura del pastore-poeta, tuttavia, nonostante le descrizioni sottili, non bisogna scorgere un intento realista, ma una realtà trasfigurata, un’occasione evasiva destinata a un pubblico colto cittadino.

Incisione con busto immaginario di Teocrito – Wikipedia

Virgilio e l’Arcadia

Nel mondo romano fu nientemeno che Virgilio a raccogliere il testimone di Teocrito. Il poeta latino, scosso dai tumulti delle guerre civili, andava ricercando un luogo lontano, indefinito, attraverso cui rivivere il sogno dell’armonia perduta, un locus amoenus in cui trovare rifugio. Lo trovò nell’Arcadia, regione greca in realtà aspra e inospitale, ma patria del dio Pan e dei pastori suoi seguaci. Nelle Bucoliche [2] i nomi dei personaggi continuano ad essere greci, tuttavia alle orecchie dei latini dovevano suonare come echi di terre esotiche, lontane e mitiche.

Mentre Teocrito descrive i pastori e le loro passioni con gentilizio distacco, in Virgilio riscontriamo una grande serietà. Sì, perché nei versi del poeta latino si allungano le ombre della Roma del suo tempo. Melibeo non canta le sofferenze d’amore, ma lamenta l’esilio imminente dalle sue amate montagne. È un evidente rimando alle confische e alle redistribuzioni di terre ai veterani delle guerre civili: lo stesso Virgilio fu vittima di questi tumulti e rischiò di perdere le sue proprietà nel mantovano, a seguito della Battaglia di Filippi. Nelle parole di Melibeo traspare dunque il sentimento malinconico del poeta:

Titiro, sicuro tu giaci qui sotto i rami
Larghi del faggio e componi un canto silvestre
Col flauto sottile; e noi queste dolci campagne
Lasciamo, in fuga noi dalla patria. Tu, Titiro,
tranquillo nell’ombra insegni alle selve
a ripetere il nome della bella Amarillide”.

Rappresentazione di Virgilio del III secolo d.C. (Monnus-Mosaic, Rheinisches Landesmuseum, Treviri) – Wikipedia

In un presente caotico e violento, l’unico rifugio sembra essere la vita del pastore arcadico, sottratto alle logiche del quotidiano e alle sue incombenze, baluardo ideale di un mondo ormai perduto di amore e di canti:

“O Melibeo, un dio questa pace mi ha dato.
Lui certo un dio sarà sempre per me; e spesso
Trarrò dal mio ovile teneri agnelli
Per bagnare la sua ara di sangue.
Mi disse che bene i miei bovi potevano errare,
come vedi, al pascolo; e disse che pure potevo
canti al mio piacimento comporre sul càlamo”.

La figura del poeta pastore ha attraversato i secoli nella letteratura rinascimentale e arcadica e rimane ancora oggi impressa nell’immaginario popolare. Figure che costellano la storia dei mondi contadini della penisola italiana, fino agli albori del Novecento. Tra questi, Francesco Giuliani, pastore, poeta e scultore di Castel del Monte, di cui parleremo nel prossimo articolo.

Diego Renzi


[1] Si veda l’idillio XV, Le siracusane.

[2] Raccolta di dieci egloghe esametriche con trattazione e intonazione pastorali. Da Wikipedia.

Bibliografia:

Virgilio, Tutte le opere, Ezio Cetrangolo, SANSONI Editore

TEOCRITO E VIRGILIO PRECURSORI DELL’ARCADIA: http://enricia.altervista.org/Newton/Teocrito_Virgilio.pdf

LA LETTERATURA BUCOLICA:
https://www.academia.edu/6351837/_La_poesia_bucolica._Nota_introduttiva_in_Lo_Spazio_Letterario_di_Roma_antica_vol._VI_I_Testi._1_Poesia_a_cura_di_A._Fusi_A._Luceri_P._Parroni_G._Piras_Roma_Salerno_Editrice_2009_pp._603-8

Castel di sangro, la storica promozione in B del ’96

E se raccontassimo di una squadra rappresentante un paesino di 5.000 abitanti capace di arrivare in Serie B? In molti con tono molto saccente risponderebbero “ma dai!” E se aggiungessimo che questo traguardo è stato raggiunto grazie ad un giocatore che in quella stagione non ha disputato neanche un minuto in campionato? Allora il “ma dai” diventa ancora più grande. È fantasia? No è accaduto davvero. Raccontiamo la storia del Castel di Sangro, che nel 1996 ottenne il pass per la Serie B, e di Pietro Spinosa: un numero 12 che per un momento decisivo divenne un numero 1.

1980: arriva Don Pierino

Come è stato possibile tutto questo? Da tenere in considerazione che il Castel Di Sangro fino alla fine degli anni ‘70 militava nelle categorie provinciali. Poi nel 1980, nella meravigliosa terra sangrina, arriva un imprenditore pugliese: Pietro Rezza, per tutti Don Pierino. Da lì in poi il calcio castellano iniziò a decollare fino a toccare il cielo con un dito. Don Pierino ha una nipote. Maria Teresa Rezza in Gravina. Cosa? E si, perché la figlia del fratello di Don Pierino è sposata con Gabriele Gravina, attuale numero uno della Figc.

Gravina e Rezza diventarono i proprietari del club giallorosso, e nel 1989 il Castel Di Sangro si trovava già in C2. C’ era un problema però: Don Pierino odiava i riflettori. Schivo più che mai, se qualcuno riuscisse a trovare un’ intervista rilasciata da Rezza, diventerebbe milionario (forse). Ad apparire era Gravina, Rezza non risultava neanche nell’ organigramma, ma la sua parola valeva come quella del nipote acquisito.

1995 Mister promozione Osvaldo Jaconi alla guida dei tori

La marcia del Castel Di Sangro appare inarrestabile. Nel 1992 Gravina diventa ufficialmente presidente dei tori giallorossi. Gravina e Don Pierino però non vogliono accontentarsi, vogliono portare il Castel Di Sangro ancora più in alto. Bisogna fare un salto di qualità e ci vuole un trascinatore, una vecchia volpe. L’uomo giusto lo vanno a prendere a Mandello del Lario (Lecco), e passerà alla storia per essere il tecnico con più promozioni conquistate: Osvaldo Jaconi. Il tecnico lariano viene contattato nel 1993, ma non è convinto (a pensarci ora viene da ridere), e preferisce accettare il progetto del Catania. Tuttavia il club siciliano viene escluso dopo tre mesi per problemi di bilancio.

Contemporaneamente le cose in Abruzzo con Busatta non vanno tanto bene, e allora il matrimonio tra il Castel di Sangro e Jaconi arriva finalmente a compimento. Con Jaconi in panchina i giallorossi escono dalle zone basse della classifica e concludono la stagione al 7° posto. È soltanto l’ inizio. La stagione successiva il Castel Di Sangro arriva terzo e vince i play off battendo prima il Livorno in semifinale e poi il Fano nella finale di Ascoli Piceno.

Spinosa, il numero 12 che divenne numero 1

Verrebbe quasi da dire: “dai la C1 per un piccolo paese ci può stare, dove vuole arrivare in Serie B?” Si. Vuole arrivare in Serie B. L’anno successivo, Jaconi compie il miracolo nel miracolo arrivando secondo in terza Serie. Nei play off, i tori sconfiggono in semifinale il Gualdo e vanno a disputare a Foggia la finale contro l’Ascoli. Qui la storia diventa ancora più coinvolgente, perchè la storia, la fa un portiere che dietro non ha la numero 1 ma la numero 12. Si chiama Pietro Spinosa e nel ‘96 aveva 33 anni. Faceva il vice di Roberto De Juliis e quell’anno non giocò neanche un minuto. Eppure nell’ allenamento prima della finale dello Zaccaria, si erano provati i calci di rigore e Spinosa ne para 8 su 10. Jaconi avrà pensato: “questo Spinosa però, dagli undici metri ci sa fare”. La partita contro l’Ascoli è tiratissima, non bastano i 90’ per decretare il vincitore. Si arriva ai supplementari, e la gara non si sblocca. A quel punto Jaconi ha un’ intuizione.

semifinale dei playoff del ’96 contro il Gualdo
foto da il nobile calcio: https://ilnobilecalcio.it/2020/02/17/home-24/

Durante il primo extratime il mister si gira a Spinosa e gli dice: “Pietro sei pronto per portarci in Serie B? Spinosa sorride e non gli da credito e ironicamente gli risponde: “Si mister cosa devo fare?” Jaconi però insiste. “Pietro non sto scherzando vatti a scaldare!”. Spinosa per non distrarre De Julliis si riscalda di nascosto, dietro al cordone della polizia. Da lì il numero 12, si trasforma in numero 1. Spinosa para il rigore decisivo e consegna al Castel Di Sangro la Serie B. Jaconi sarà poi imitato anche dal C.T dell’Olanda Van Gaal che nei mondiali in Brasile nel 2014 Sostituì il portiere Cilessen per Tim Krul nei quarti di finale contro la Costa Rica, con quest’ultimo che parò due rigori decisivi.

Fonti: Blog di Sport, WordPress.

di Pierluigi Trombetta
leggi anche il suo articolo su Pantani a Campo Imperatore